sabato 15 dicembre 2012

LUCA TURILLI's RHAPSODY: "ASCENDING TO INFINITY" (2012)





Nell’agosto del 2011 il mio cuore viene spezzato da una notizia che mi lascia inorridito, profondamente deluso e sorpreso: Luca Turilli, noto compositore, polistrumentista neoclassico, Maestro eclettico ed estroso delle 6 corde nonché cinematico virtuoso votato ad essere la mente creativa e fondatrice degli storici Rhapsody (divenuti “… of fire” dopo una squallida recriminazione partita da un soggetto sconosciuto e inutile che, nonostante la ricerca di pubblicità parassitaria, tale comunque rimarrà e a cui auguro la fine più dolorosa possibile) … decide proprio di lasciarli, per non meglio precisate “divergenze artistiche”. Passato il trauma e lo stordimento iniziale che inibirono la mia mente al pensiero e alla ricerca logica delle arcane cause, paralizzandola, atrofizzandola nel dolore, nella lacerazione dell’anima immolata dall’incomprensibile, mi furono poi ben chiare le velate ragioni di questo split. In realtà, secondo il folle che vi sta scrivendo (e questa è un’opinione tutta personale per cui mi svesto, dissociandomene, della responsabilità di ciò che dico) il Maestro Turilli, mente creativa quasi totalizzante del concept Rhapsody, protratto per ben 10 dischi, ha deciso, terminata la lunga saga, di rivendicare l’importanza del suo nome creando un gruppo nuovo che lo mettesse in evidenza: un attacco di sano egocentrismo insomma che è la linfa vitale di chi nasce con un talento che in tanti purtroppo non hanno e che, in quanto tale, mi sento di perdonare. Non si spiegherebbe altrimenti questa separazione dato che la scissione di questo sacro cordone ombelicale ha dato alla luce due diverse colonne sonore portanti dello stesso genere musicale ossia un power metal sinfonico cinematico votato alla adattabilità al cinema più maestoso. A maggior ragione mi sento di perdonarlo se il risultato è questa autentica perla che ho tra le mani; un disco assolutamente eccelso, altero, solenne, imponente, bombastico, esagerato nella sua indiscutibile bellezza, nel livello di ispirazione poetica che ha intarsiato la tessitura delle composizioni, nella cura degli arrangiamenti, nell’esecuzione strumentistica così prolissa di autocompiacenza, nella abile architettura degli intermezzi ad effetto cinematico. Un disco da infarto, anticipato dall'uscita di un videoclip ufficiale esageratamente coinvolgente, che ci regala una prova decisamente entusiasmante della componente compositiva del polistrumentista triestino, artista proveniente dalla città del vento che tanto ha soffiato per liberare via dal suo cuore, dall’emisfero della sua mente fantasiosa, tutta la nobiltà d’animo della sua creatività, di quella che dona all’umanità solo grandi opere come fu per Ludwig Van Beethoven, Antonio Lucio Vivaldi, Gioacchino Rossini. Il disco comincia con la splendida intro “Quantum X” e già dall’inizio si denota una determinata voglia di discostarsi un po’ dalle sonorità tipicamente rhapsodiane, con una melodia più moderna, cibernetica, un sound più caldo e delle strutture musicali meno gotiche-occidentali per spostarsi più verso suoni e armonie esotiche e medio-orientali. La successiva title track, “Dante’s Inferno”, “Excalibur”, “Tormento e Passione”, “Dark fate of Atlantis” sono solo i titoli di un’opera che non smette di entusiasmare colpendo in tutti i suoi capitoli l’ascoltatore e trasportandolo in un viaggio senza ritorno dove l’ascoltatore medesimo diventa anche spettatore di un romanzo tradotto in cinema e saggiamente musicato da musicisti tecnicamente inarrivabili come, oltre allo stesso Maestro, chitarrista talentuoso all’opera anche con favolosi arrangiamenti tastieristici e autore del concept lirico, Alessandro Conti, a cui va un plauso particolare, per la sua voce assolutamente spettacolare e incredibilmente capace di fronteggiare con estrema sicurezza e padronanza tutto il sistema tonale su cui sono stati tarati gli strumenti musicali sino a colmare tutte le 8 ottave del pianoforte, la ineccepibile voce lirica della soprana Bridget Fogle e della dolce Sassy Bernert con cui Alessandro duetta sontuosamente, l’eccelso Dominique Lerquin, mago della sei corde e buona spalla su cui appoggiarsi per l’esecuzione tecnica dei brani nonché il virtuoso bassista Patrice Guers, già impegnato con i cugini “… of fire”. Bellissima anche “Luna”, (rivisitazione del brano del tenore italiano Alessandro Safina) brano non fuori dal coro quando si parla di Musica (non a caso con la M maiuscola) dove quindi tutte le contaminazioni ben riuscite sono possibili, liberandosi soavemente dalle limitazioni umane di genere e di stile a cui le menti umili e atrofizzate sole si sanno ispirare, per rincorrere in una sorta di ambiziosa iubris, la perfezione che esiste solo nella piena libertà creativa degli Dei che gli artisti immaginano e ai quali vogliono narcisisticamente assomigliare. L’opera si spegne gradualmente della sua luce nell’ultimo suo capitolo “Of Michael the Archangel and Lucifer’s fall”, suite finale di sedici minuti con cui il Maestro ha voluto, in rispetto alla rhapsodiana tradizione da cui invece si stava, con successo, discostando, terminare il capolavoro ma che invece non regge il paragone con quanto ascoltato sino a quel momento. Poco male perchè questo è un album da collocare indiscutibilmente nell’Olimpo della triade dei migliori dischi di power metal mai concepiti nell’intero pianeta in qualsiasi epoca…. ah dimenticavo, gli altri due provengono sempre dalla mente dello stesso autore anche se celati dal logo scolpito sulla roccia a nome “Rhapsody”. Ora correte a comprarlo, subito, pena il mio rispetto.
VOTO: 10
Emmanuel Menchetti.

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