mercoledì 22 ottobre 2014

RECENSIONE MUSICALE: CARNALITY - "Dystopia" (2014)



Parafrasando il titolo di questo album, tra l'altro introdotto da un artwork di eccezionale fattura, incentrato su una metamorfosi orgiastica tra specie animali e umanoidi in cui le une inghiottono le altre prendendone allo stesso tempo le sembianze (insomma un'immagine che a me che soffro di certe perversioni, ha fatto sfiorare quasi l'orgasmo e la commozione cerebrale!!), la musica che si libera furiosa come una tempesta apocalittica dalle sue sanguinose tracce, travolge senza pietà tutto ciò che trova intorno, proiettando la mente dell'ascoltatore verso una dimensione futuristica visionaria ancora sconosciuta all'attuale pace terrestre e che è umanamente indesiderabile, corrotta, brutale e ignobile, relegando l'anima umana ad una sorta di prigione onirica e claustrofobica, in un deserto di morte da scenario post-atomico, in cui le aspettative vengono spazzate via da un gigantesco orco che,  con la voce devastante, di biblica potenza del pesarese Luca "Dave" Scarlatti, inghiotte la luce di qualsiasi speranza di sopravvivenza in un Chaos cosmico catastrofico, rovinoso e degenerato. Il tema futuristico-apocalittico era già caro alla sua precedente band di cui è rimasto orfano ossia gli E.t.h.a.n., reduci del valido "I want to believe" del 2010. Le sonorità sono cristalline, curate nel minimo dettaglio sino al parossismo dal grandissimo guru della produzione Simone Mularoni che riesce, con la sua opera, a creare ordine e definizione dei suoni, plasmando come argilla in mani sapienti, l'istinto di demolizione totale e assoluta che pulsa forte nelle corde della band riminese senza minimamente ridurre il loro impatto, ma anzi ottimizzandolo e sublimandolo in un'ottica artistica degna del massimo rispetto. La sezione ritmica è un treno in corsa intento unicamente a sradicare tutto ciò che malauguratamente si trovi nelle vicinanze, travolgendolo in un inferno sonoro di portata cosmica e dannatamente accattivante. Il riffing brutale mostra una precisione chirurgica, è spietato, freddo, tagliente, come la lama di un macellaio,  bruciante, claustrofobico e incastonato perfettamente tra i vari cambi ritmici ma non sacrifica, allo stesso tempo, fraseggi melodici all'unica bandiera della brutalità incondizionata. La voce è la trasposizione in musica di tutto ciò che possa essere più devastante, ferale, annichilente e capace di sopraffare con la sua potenza lisergica qualsiasi forma di vita vertebrata e invertebrata, come l'eco di un mostro lovecraftiano in una valle desolata di cadaveri calpestati e spremuti dal peso del suo passaggio. Le frequenze raggiunte da questa ugola d'acciaio toccano tutte le sfumature del genere trattato, dal più ferale scream capace di auto-sradicarsi masochisticamente le corde vocali al più cupo e potente growl, profondo come il baratro lasciato dall'impatto di un meteorite, memore di ammonirci che dovremo morire tutti come vermi pestati senza speranza. Insomma... la Svezia si è trasferita qui, tra Marche e Romagna, riverberando la sua indole di distruzione tra i folti boschi del monte San Bartolo. In una frase .. un colosso monolitico di inaudita violenza, di ineccepibile audacia bellica: uno dei dischi più devastanti di brutal death mai ascoltato in 25 anni.

VOTO: 8,5

Emmanuel Gravier Menchetti.

domenica 19 ottobre 2014

RECENSIONE MUSICALE: ARKA - "Cyclical Shift" - 2014



Ciò che mi trovo qui davanti non è il prodotto di un gruppo ma di un singolo compositore nella persona di Alberto Della Fornace, arrangiatore, musicista eclettico e dalla creatività che supera il muro del suono del talento umano. In seguito alla triste fine del gruppo di progressive strumentale sinfonico dei Lacrimae da lui guidato ed alla separazione dal suo muro ritmico portante ossia il funambolico personaggio di dubbia lucidità Emmanuel Menchetti (in arte "Sir of Desolation" - mi sembra quasi di conoscerlo!) divenuto nel frattempo polistrumentista ed egli stesso compositore di un'infinità di brani strumentali in 2 soli anni, il nostro Alberto crea parallelamente ciò che è la trasposizione perfetta in musica della sua affascinante personalità, ossia il progetto "Arka". Cominciamo col dire che per chi conosce i Lacrimae, risulta subito chiaro ed evidente chi fosse il compositore unico di quel gruppo; le atmosfere epiche, sinfoniche, classiche, solenni, dal portamento faraonico, vengono ereditate dalla precedente esperienza nel quartetto. Ciò che stupisce però è percepire in modo chiaramente evidente, il suo genio creativo districarsi  in modo pertanto ineccepibile, anche negli arrangiamenti ritmici oltre che polifonici e quindi in parti originariamente non sue ma affidate ad altri nell'economicità della precedente band. I cambi di atmosfere intarsiate in architetture ritmiche sono di assoluta pregevole fattura e si intersecano efficacemente con melodie che si rincorrono suadenti come farfalle in amore nel bosco del genio assoluto della sua creatività senza limiti, nell'equilibrio metrico del grembo fertile di un'armonia puerpera della sua gestazione creativa. Tutti gli strumenti sembrano come steli che, nella pazzia primaverile, fioriscono improvvisamente tutti assieme, donando alla natura i sorrisi della terra e liberando nell'aria effluvi sonori ammalianti, perfettamente funzionali in un ecosistema musicale ineccepibile nella sua completezza e ordine, ed il tutto è artefatto in maniera talmente egregia da riuscire davvero difficile immaginare che possa nascere ed esaurirsi nelle risorse cerebrali di un'unica mente creativa. Impossibile credere che il ciclo di questa perfezione che sfiora il divino senza temere coraggiosamente la sua nemesi, possa intarsiarsi per giunta senza soluzione di continuità, nell'univoca, monarchica visione della musica di un'unica anima pensante, ma questo è e qui si rende necessario ricercare l'espediente per cui questo disco vada valorizzato ancor di più che nel caso in cui fosse stato opera del contributo di più musicisti assieme. Come se non bastasse la produzione è assolutamente entusiasmante, credo sia il disco meglio prodotto tra tutti quelli ascoltati nella mia vita, rendendo giustizia al suo indiscutibile spessore artistico. Le immagini che vengono trasmesse come un fiume in piena all'ascoltatore ignaro, sono dissimili da tutto ciò che potrebbe implodere nell'ovvietà, ma si corteggiano per contro e si compiacciono di una dimensione onirica che seduce il fruitore, trasportandolo nella visione di un prato dove tra fiori bianchi, compaiono magicamente fiori neri, come ombre di oggetti sospesi nell'aria, simili nella forma ai primi, ma più grandi, prodotto del genio malsano della terra, che nasce dal male, più affascinante, e che ambisce a sfidare il divino, vincendolo.

VOTO: 10 E LODE

Emmanuel Gravier Menchetti.