mercoledì 29 agosto 2012

EMANCIPAZIONE E POTERE DI SCELTA


L'EMANCIPAZIONE è ovvia per antonomasia più che banalmente giusta, però si deve essere almeno capaci di gestire il potere delle proprie scelte perchè non è un caso che negli ultimi 20 anni molti matrimoni non raggiungono 1 anno di vita e ci ritroviamo migliaia di figli traumatizzati che crescono con diffidenza, complessi e sfiducia verso gli altri. La scelta viene vista dal mondo menefreghista moderno solo come auto-limitazione delle opportunità alternative e non come auto-determinazione del proprio io perchè il proprio io è stato sommerso dal consumismo. Se guardiamo il mondo animale esistono diversi casi in cui la femmina, qualora sia più forte fisicamente del maschio, lo uccida e che cos'è l'istinto animale se non lo specchio del comportamento umano depurato da millenni di colonizzazioni che chiamiamo civiltà e finte conquiste sociali? Esistono ancora femministe convinte che francamente, nella società occidentale odierna, trovo totalmente decontestualizzate.


venerdì 3 agosto 2012

RECENSIONE CINEMATOGRAFICA: "THE DOORS" - OLIVER STONE (1991)


Cominciamo a dire che il sottoscritto adora la musica dei Doors. Cominciamo a sottolineare che il regista di questo film che dovrebbe, già dal titolo, porsi come un’autobiografia, almeno nelle linee cardine e nei binari perseguiti, della band citata poc’anzi e che, cerimoniosamente, conferisce il nome allo stesso film, non è proprio un artista di primo pelo nel mondo del cinema, si pensi ai buoni “Platoon” e “Nato il 4 luglio”; autobiografia…certamente…ma con quelle sacre concessioni che tanto teneramente si fanno al cinema, lasciandolo parafrasare il concreto in elucubrazioni spettacolari che hanno il potere di rendere maggiormente auto-celebrativo un avvenimento, con la commozione di chi i fatti li sa interpretare artificiosamente e questo è il noto potere immaginativo della fiction. Si pensi che per una pellicola di tale portata, responsabile della reputazione della leggendaria band nell’immaginario collettivo delle generazioni venute a seguire, dopo il loro scioglimento e la morte del re-lucertola James Douglas Morrison, i saggi Ray Manzarek e Robby Krieger hanno sfruttato la loro inevitabile interpellanza da parte di Stone, fornendo aneddoti con tutta la lucidità possibile onde offrire un quadro che fosse il più possibile una messa a fuoco sulla torbida immagine dei loro ricordi ormai di più di 20 anni prima. Lo stesso Manzarek stette due interi giorni con il regista a raccontare fatti e a tentare di dare una descrizione di Morrison (che poi diventa l’indiscusso protagonista del film … ops … sono già partito a sputare la prima critica, non c’è niente da fare, è più forte di me!!) e della storia (quella realmente accaduta!) che fosse per lo più possibile fedele alla realtà, in modo da lasciare a Stone un quadro il più possibile concreto e attinente sul quale lasciare poi il regista svolgere il proprio lavoro. Lo stesso Val Kilmer, scelto da Stone non solo per la sua imbarazzante somiglianza con il cavalca serpenti, si esercitò per ben un anno a cantare i brani dei Doors attraverso uno studio che rende gli americani decisamente professionisti indiscussi nel cinema, attraverso quel know-how proverbialmente hollywoodiano, quella magia del cinema d’oltreoceano che tramuta (per la nobile causa dello spettacolo a cui l’americano medio con tanto di pop-corn sulla pancia e cappellino non può rinunciare) tutti gli attori improvvisamente in cantanti (appunto), surfisti, combattenti, poliziotti, scrittori o quant’altro. Viste le premesse, questo film aveva quindi tutte le carte in regola per rivelarsi un capolavoro. Così è stato? Non del tutto. Il film è romanticamente commovente, indiscutibilmente emozionante, almeno in vari tratti salienti. In molti altri è per contro pacchiano a tal punto da renderlo disturbante (si pensi alla scena in spiaggia tra Morrison e Manzarek in cui quest’ultimo, sentendo anche solo una strofa stonaticcia da parte del primo, si alza improvvisamente in piedi e comincia a parlare di successo, di creare miti da controbilanciare alla guerra del Vietnam dall’altra parte dell’oceano, alle svariate e grottesche scenette da puerile rockstar come rapporti orali consumati negli ascensori, in studio di registrazione, a bevute di sangue in improbabili riti, balletti sui cornicioni dei palazzi a trenta metri d’altezza sul traffico fino alla leggendaria frase della sua fotografa … e qui raggiungiamo il culmine della pacchianeria… “Jim sei il Dio del rock…e del cazzo”!!!!). Questi sono i tratti imbarazzanti del film a livello puramente cinematografico e che danno di Stone l’immagine di un bambinetto mai cresciuto in cerca di emozioni deboli e anacronistiche, già passate di moda da più di 20 anni e che non tengono conto del raffronto con un pubblico moderno quale quello dei primi anni’90, epoca in cui uscì il film, ormai stufo degli  sbandierati epiteti dei ’60 e di quella gioventù rivoltosa di cui tanto abbiamo sentito parlare (e da cui abbiamo preso molto poco!). Il problema più grosso è però che qui non si parla di un gruppo immaginario o meglio, i vizi di questa pellicola si arresterebbero qui se si parlasse di falsi miti creati dalla fantasia del regista. Il vero dramma è che qui si narra la storia dei Doors e anzi, questo film è assolutamente responsabile dell’immagine che le nuove generazioni (quelle che non li hanno conosciuti ai tempi del loro successo) fotografano di quella band dato che, ben pochi oltre ad ascoltarsi qualche disco, hanno avuto la nobile curiosità di informarsi sulla loro storia. Il film oltre che ,come già sottolineato, si incentra quasi esclusivamente sulla figura di Morrison (ma questo ce lo potevamo aspettare!), sottolinea solo la sua componente caciarona, ribelle e scapestrata, ponendo enfasi sulla sua dipendenza dalle droghe (e anche questo me lo aspettavo!) e quando invece ha spostato giustamente le telecamere anche sul lato poetico e romantico del cantante, lo ha fatto in modo innanzitutto falso depositando sulla sua bocca frasi rubate a Rimbaud (che Morrison non nascondeva di amare ma proferite come se se ne fosse impunemente appropriato) e poi esagerato e pacchiano da renderlo inevitabilmente puerile e imbarazzante, risultando evidente che la scelta del regista sia andata banalmente a indirizzarsi sulle emozioni facilmente eccitabili, sulla proverbiale suscettibilità di ovvia presa di un  pubblico possibilmente adolescente e questo è un neo, un’ombra che non ci si aspetterebbe da un regista come Stone. In conclusione, un film emozionante se letto con la fuorviante chiave di lettura di una fiction, una legenda puramente narrativa in cui tutto sarebbe impunemente concesso al libero arbitrio della regia per essere gettato in pasto alle bocche voraci di un pubblico tendenzialmente giovane e sognatore, ignaro e affamato. Un film finto, una scombinata millanteria se osservato con la lente di ingrandimento di uno sguardo adulto e consapevole sui fatti realmente accaduti e su quello che era concretamente Morrison e i suoi leggendari soci.

EMMANUEL MENCHETTI
VOTO: 7

mercoledì 1 agosto 2012

RECENSIONE LETTERARIA: "LIBRI DI SANGUE" - CLIVE BARKER


Il primo contatto con questo libro è alquanto inquietante, non tanto per la tematica prettamente horror e splatter trattata, ma per il come viene affrontata. Se rimaniamo a parlare di genere, state leggendo le righe di chi è cresciuto a pane e horror fin da tenero bambino (non tanto tenero quando già all'età di 10 anni si imparava a memoria i versi della poesia nera contenuta nel numero 10 del noto fumetto Dylan Dog "Attraverso lo specchio"..con immenso orrore nello sguardo della povera donna che lo ha generato...perdonate l'arguta memoria ma si sa...la mammina mi ha creato intelligente, non ne ho colpa!!). Proprio quando si ama un genere e lo si conosce bene (del resto poi in quanto nasciamo tutti insanguinati da un utero sventrato e per la prima volta in contatto col brulicante ossigeno, siamo tutti indistintamente destinati comunque all'orrore!!), quando si è affascinati dal sottile retrogusto di quell'antico sentimento umano (il più antico secondo l'integerrimo Howard Phillips Lovecraft) che è la paura, si desidera che questa divina emozione, che la natura ci ha concesso la lusinga di donarci, venga trattata con rispetto da chi si avventura nei sottoscala dei suoi oscuri anfratti, mantenedone il fascino e l'arcano potere attrattivo. In verità risulta chiaro invece sin dalle prime pagine, che lo scrittore di Liverpool sia solo un rozzo contadino alle prese con qualcosa di più grande di lui, ma ciò che è ancor più grave, è che Mr. Barker non ha proprio capito cosa sia la letteratura, confondendola con la sceneggiatura di un film, probabilmente a causa del suo amore e della sua attività collaterale (sicuramente di maggiore riuscita) proprio come sceneggiatore e regista di alcune discrete pellicole. Mr. Barker dovrebbe sapere che la letteratura NON è la sceneggiatura di un film, per il semplice fatto che le scene trattate, proprio per il fatto che non beneficiano dell'ausilio delle immagini, hanno bisogno di essere descritte nelle loro prospettive ambientali, nei risvolti psicologici degli attori (che in questo contesto, per l'appunto, non sono più attori) e in tutto ciò che non riguarda strettamente l'azione o il dialogo, quindi tutto ciò che rimane, per così dire, invisibile agli occhi di uno spettatore che si accinge invece a guardarne l'eventuale realizzazione in un film. Tutto questo è necessario per stimolare la fantasia del lettore e non indurlo alla noia più totale che invece colpirebbe un attore che, dietro una cospicua cifra e solo a fronte di quella, sarebbe disposto a imparare la sua parte. E' imbarazzante che Mr. Barker non sappia tutto questo. E' quasi imbarazzante empaticamente per me doverlo sottolineare, a maggior ragione perchè questa autentica schifezza mi è stata prestata da un caro amico. Almeno fossero curati i dialoghi.... sulla forma delle espressioni adottate, sullo stile semplicistico e volgare, nauseabondo e primitivo oltre che, per l'appunto, grottescamente scarno, non oso neanche proferirmi onde risparmiare questa recensione da sonori insulti. In conclusione, puro liquame narrativo, consiglio a voi di lasciare marcire questo libro negli scaffali dei negozi e a Mr. Barker di continuare a dedicare tutta la sua nobile passione per corpi sventrati o scuoiati, midolli scoperti e interiora tumefatte o incancrenite, e tutto il suo proverbiale stacanovismo ... solo ed esclusivamente al cinema.

VOTO: 3
EMMANUEL MENCHETTI