lunedì 28 luglio 2014

OPETH - "PALE COMMUNION" (2014)




Che il signor Mikael Åkerfeldt fosse uno dei più nobili collezionisti di vinili al mondo (insieme a un certo Rob Halford) non è certo una novità, che fosse un grandissimo estimatore del progressive dei gloriosi, geniali anni '70 non è novella dell'ultim'ora, che amasse principalmente quello italiano una notizia che non dovrebbe certo stupire chi conosce le passate glorie di questo movimento, che questo amore sia sfociato nelle sue stesse composizioni solo al decimo disco del suo gruppo un po' .... questo si mi stupisce ma lo capisco anche perchè questo oscuro signore, che nei palchi di tutto il pianeta diffonde il suo essere anti-palco, ha sempre condiviso questo amore per poliritmie di tempi dispari e barocchismi strumentali con il non meno nobile amore per il death metal più oscuro, misantropo ed efferato. Ciò che invece torna a stupirmi è l'immenso valore artistico con cui ripropone quelle sonorità, non solo inteso come maestria tecnica sua e del suo grandissimo gruppo di cui vorrei sottolineare le doti del batterista Martin Axenrot e del bassista Martin Mendez, ma soprattutto come idee compositive e di arrangiamento che sono la componente principale di questo splendido genere musicale che si basa proprio sulla genialità, sul continuo imprevisto, sull'effetto sorpresa, sulla rottura degli schemi classici strofa-ritornello-inciso tipica del rock e del pop invece più scolastico e commerciale per dare più spessore alla parte strumentistica. Il canto, per così dire agli strumenti ma quest'uomo, nel pulpito di una dimensione intellettuale ed intelligente, conoscitiva e ricercatrice della musica lontano anni luce dal poserismo dei cretini dell'hair metal, così distante e superiore ai clichè della finta vita da "rockstar" basata solo sull'ignoranza e la menzogna, così poco comunicativo con il pubblico e così poco portato a calcare il palco, in realtà è nato in una lampada e ha regalato all'umanità dischi memorabili carichi di una melanconia, di uno spessore strumentale, di un vero amore per la musica e per la forma-canzone di una canzone senza forma intesa nel suo senso limitativo ma come invece porta, opportunità per gli strumenti di evolversi al meglio. Il suo progressive come il suo death prog dell'epoca pre - Heritage (recensito sempre dal sottoscritto in questo stesso blog...cercate cercate..!!) è un linguaggio musicale evoluto, capace di indurre la mente dell'ascoltatore allo splendore della riflessione, della filosofia trasformando la stessa musica da arte in SCIENZA perchè anche questo è la musica, la scienza dei suoi tempi astrusi in 33/8 del grandissimo brano "Goblin" che richiama ciò che di meglio ha proposto il nostro paese più di 40 anni fa, qui magicamente richiamato con la giusta ambizione di stravolgerlo ancora. Se questo disco, come il precedente Heritage, fossero usciti nel 1972 e nel 1973 anzichè nel 2011 e nel 2014, sarebbero dischi che avrebbero sconvolto il mondo. Ho sempre tenuto d'occhio questo gruppo per la sua genialità che si dipanava sin dagli inizi tra le miriadi di gruppi death metal che da 25 anni inflazionano la scena. Adoravo gli Opeth quando suonavano death prog, li adoro ancor di più ora che suonano un prog puro che ritorna alle sue origini e si compiace del suo spessore artistico ineguagliabile, trascinando il combo svedese in un sentiero iniziato col precedente album e che ora non li riporta più indietro perchè ha messo a nudo le incredibili facoltà di questi musicisti IMMENSI. 

VOTO: 10 E LODE

Emmanuel Menchetti.