martedì 11 dicembre 2012

LED ZEPPELIN: "CELEBRATION DAY" (2007)




Non è mai facile scrivere una recensione su una delle band più magiche e influenti di tutta la scena rock degli ultimi quarant'anni, specie se il sottoscritto ne è stato da sempre un grande estimatore. Si sa che se i traumi vissuti nei primi 3 anni di vita influenzano la psicologia dell'individuo, tutto ciò che invece è stato vissuto, letto o ascoltato nell'adolescenza lo si porta nel cuore per il resto dell'esistenza e si cresce con l'idea (più che giusta) che gli Zeppelin, assieme ai Beatles, Deep Purple, Jimi Hendrix e Black Sabbath siano il vero rock da cui tutto il resto proviene e al quale, quindi, bisogna necessariamente rapportarsi e confrontarsi quando ci si immerge in questo splendido genere musicale dal carattere istintivo e fortemente emotivo. Confronto impari per le band a venire ma veniamo al prodotto in questione. Sin dalle prime note liberate sul palco dell'Arena O2 di Londra, che rispolverano un quasi trentennio di silenzio riaprendo la lapide di questa autentica poesia sotterrata con la morte dell'influente batterista John Bonham, risulta chiaro che quella magia questa sera è stata ribattezzata senza mostrare quasi gli indissolubili ed ingiusti segni del tempo. La band sciorina uno dopo l'altro senza pietà ed incurante delle lacrime di commozione che, così facendo, provocano su chi li ha da sempre amati, tutti i loro brani più belli e famosi con un'esibizione convincente. Alla batteria siede il figlio del Bonzo, Jason Bonham, un batterista che dal seme del padre ha parzialmente ereditato il talento, l'energia e lo stile seppure necessariamente rimodernato ed inoltre era giusto che fosse lui a sedere dietro le pelli per portare sul palco di questa nostalgica reunion, un cordone ombelicale, un legame di sangue che lo tiene comunque legato alla famiglia dopo la morte del famigerato padre. In qualche frangente tenta di strafare seguendo le orme paterne, non riuscendo sempre nell'intento, perdendo il confronto in termini di fantasia ma facendo comunque sfoggio di una buona tecnica sui colpi singoli anche superiore a quella di chi gli ha messo le bacchette in mano alla tenerà fanciullezza (ricordate l'immagine del film "The song remains the same" del 1976??). Un plauso a Robert Plant, la cui voce, seppure aiutata dagli effetti, non ha perso, con il crudele incedere del tempo,  lo smacco, la grinta ma soprattutto il suo poetico timbro nè lui le  proprie movenze sexy sul palco. Si sa che insieme al buon vecchio Coverdale rimane sempre uno sciupafemmine e l'icona della rock star vista come status symbol dell'oggetto più desiderato nella sfera sessuale femminile devota all'arte. Jimmy Page non cambia mai, non ha migliorato la sua tecnica ma non ha modificato neanche la sua voglia di improvvisare e di modificare i brani di concerto in concerto, nel contempo ha però ampliato il suo budget facendo sfoggio di una sfilata di lussuose e fiammanti Gibson, esibendone quasi una diversa ad ogni pezzo (alla faccia di chi non se le può permettere) e John Paul Jones..... beh....lui è sempre stato IL MUSICISTA della band. Perfetto allora e perfetto ora, io nutro sempre una sorta di rispetto particolare per i polistrumentisti. Come era prevedibile l'amalgama del gruppo ha un po' risentito del tempo e degli eventi specie in "Dazed and confused" che, a parafrasare il titolo dello stesso brano, li ha colti un po' confusi ma Jason non è abituato alle stravaganze sul palco di Page e poi io, da buon integralista della musica, penso che a ognuno deve essere restituita la sua musica il che vuol dire che la musica deve essere suonata solo da chi l'ha creata ma questo nel 2007 non sarebbe stato possibile ... salvo resuscitare il cadavere di Bonzo.

VOTO: 8

Emmanuel Menchetti

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