venerdì 29 agosto 2014

recensione - "La storia del Black Metal" - : Burzum - "Filosofem" 1993/1996



Quando solitamente si parla del Conte Grishnackh, all'anagrafe Kristian (poi tramutato in Varg) Vikernes, in arte Burzum, ossia ciò che nel linguaggio Tolkiniano riporta l'immaginazione al buco nero che inghiotte la luce, all'oscurità che divora la vita, si solleva sempre una nuvola di scandali per via dei crimini di cui si è macchiato e per cui attualmente ha scontato la pena. Ricordiamo che il compositore polistrumentista norvegese di cui stiamo parlando, in quel di Bergen nei primi anni '90 creò un progetto che nella storia del black metal, risulta assolutamente seminale per tutto ciò che è venuto poi. Ancora oggi nel 2014 nascono progetti solisti da studio o vere e proprie band che ripudiano la disponibilità della tecnologia di studio pur a basso prezzo per rifarsi assolutamente a Burzum, copiandone dettami sia creativi che di suono, paradossalmente facendone una ricerca (per crearlo così anacronistico, casalingo e amatoriale) maggiore di quella che oggi un gruppo di ragazzi non professionisti (ognuno avente un proprio lavoro al di fuori della musica) dovrebbe fare per produrre una demo in maniera assolutamente perfetta, proprio data la disponibilità odierna di produrre in digitale in modo ineccepibile a prezzi sostenibili pur dal modestissimo contributo privato senza quindi etichette che possano essere definite tali, ossia quelle che sgancino il grano interamente, per intenderci. Affrontiamo subito il suo alone criminogeno ricordando che il soggetto in questione ha scontato una detenzione di 16 anni per l'omicidio del compagno/socio produttore Euronymous con cui suonò il basso nei Mayehm (posizione che gli fu offerta in cambio di una produzione negata per "problemi di soldi" a favore di un più economico LP quale fu poi Aske), ebbe in società un negozio di soli dischi metal estremi ossia l'Helvete ("Inferno" in norvegese) nel centro di Oslo (negozietto curioso che all'epoca era illuminato solo da candele e non aveva neanche l'allaccio elettrico!) e il cui (Euronymous) avrebbe dovuto produrre l'intero primo disco omonimo di Burzum, essendo titolare della piccola etichetta Deathlike Silence Productions, cosa che non fece perchè reinvestì le vendite di suddetto disco nel negozio medesimo per coprirne i buchi finanziari nonchè per produrre altri lavori (spinto anche dalla paura che l'astro nascente di Burzum potesse gettargli ombra sulla sua figura di primordine nella scena black norvegese) e il tutto all'insaputa dello stesso Vikernes. Fecero il resto gli incendi di alcune chiese cristiane, costruite su antiche dimore di culti pagani pre-giudaici, disastri uno dei quali portò anche alla morte di un pompiere e di cui venne riportata fieramente testimonianza pure nella copertina dello stesso Aske (non a caso significa "Ceneri") che mostra la fotografia di un edificio di cui sono rimasti in piedi solo gli assi portanti. E' chiaro che quindi, anche a seguito di sue dichiarazioni anticristiane e antisemite dal sapore filonazista, è difficile poter parlare liberamente della sua musica senza lasciarsi condizionare (in un verso o nell'altro) dalle sue malefatte. Dato che questo è un blog che tratta unicamente di arte, io qui voglio concentrarmi unicamente sulla sua musica, voglio parlare del Burzum musicista e non del Vikernes assassino o nazista. Veniamo al disco quindi, a questo lavoro registrato nel 1993 prima della prigionia ma pubblicato solo nel 1996 grazie alla Misanthropy Records della giornalista tedesca di origine italiana Tiziana Stupia che si preoccupò di aprire la nuova etichetta unicamente per non lasciare che le produzioni dell'artista Burzum soccombessero proprio alla prigionia di Varg. Partiamo dalla produzione: chitarra acquistata di terza mano nel 1987 e registrata con l'uso di un pedalino fuzz senza l'utilizzo di amplificatori ma direttamente collegata all'impianto hi-fi del fratello (!!!!!!!!!!!!!!), batteria di un amico registrata direttamente con un solo microfono garantito come "il peggiore e più economico che avesse trovato in un negozio", voce registrata con l'auricolare di una cuffia... insomma un disco estremo registrato in condizioni estreme!!! Eppure questo suono è stupendo da quanto fa schifo, è sublime da quanto non è curato, diventa fisico, ti sembra di toccarlo mentre ti sfonda i timpani da quanto è sporco, selvaggio, desolante e alienato, abbandonato a se stesso ed ha fatto scuola; oggi tantissimi blackster si ispirano a lui e alla ricerca di questa purezza di suono che in realtà fu solo accidia e mancanza di voglia di spendere soldi inutilmente. Una derivativa negligenza che si tramutò (per scelta o per fortuna) in una filosofia di suono e di produzione. Le composizioni? .... assolutamente minimali, ipnotiche, ripetitive ma quei riff maledetti di chitarra marcia come un cadavere all'ultimo stadio della decomposizione e quei motivetti melodici di massimo quattro note sulla tastierina-giocattolo, si imprigionano nel cervello dell'ascoltatore e non lo mollano più, lasciandosi sedurre in modo molto più intenso di decine di riff complicati ad alto tasso di tecnicismi incastonati in un unico pezzo (..vedi diversi gruppi della nuova scena technical brutal russa o asiatica o del brutal core americano) o assoli a decine di note al secondo su tastiere collegate alle più capienti plug in. La voce vomitata al limite della sopportazione da un disgraziato a cui pare che stiano estirpando gli organi da vivo esprime un malessere di esistere unico nel suo genere. Insomma mi pare di sottolineare che questo disco sulla carta (e solo sulla carta) abbia tutte le caratteristiche per essere liquidato come un abominio sonoro da dimenticare .... eppure è un disco seminale che ha fatto la storia di un genere adorato da milioni di fedeli in tutto il mondo (....e dal sottoscritto), entrato addirittura nelle classifiche nel Regno Unito, cosa impensabile per un disco black metal, quindi?... chi ha ragione in questo mondo di matti? come al solito capita nell'arte ... tutti e nessuno, o forse proprio i matti!

VOTO: 8

Emmanuel Gravier Menchetti.


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