domenica 3 agosto 2014

RACCONTO: "UN VERO AMORE E' PER SEMPRE !!"

Non poteva smettere di guardare quella foto. La teneva in mano lasciandola tremare per la forte emozione, quel miscuglio di ansietà e rassegnazione, cruccio e sofferenza struggente che lo attanagliava dalla morte di sua moglie. L'immagine di quella donna, eterna di fronte al corso degli eventi, resa immortale e libera dalla corruzione del tempo inesorabile, era l'unico ricordo che Peter manteneva dopo la sua tragica morte. Quel piccolo specchio di serenità, porta per riconvertire al remoto, passaggio per il mondo etereo e mentale dei ricordi, cominciava esso stesso a sbiadirsi col tempo, a perdere la vivacità dei colori e dei contrasti come la vitalità, le passioni e l'entusiasmo gradualmente abbandonano le menti ottenebrate con l'incipiente aridità della vecchiezza. L'inevitabile logoramento, il lento decadimento che intaccava pure gli oggetti al pari degli esseri viventi fino all'unico esito ultimo della morte universale che inghiotte parimenti il tutto e della fine imprescindibile, del nulla ineluttabile vissuto come naturale termine del ciclo di tutte le cose, cominciava a vincolare la mente di Peter ad un pensiero fisso, ad una monomania che si contorceva in una stanza circoncisa solo di ombre inviolabili, di tenebre invalicabili, di libertà interdette. Il suo amore così intenso, che per la sua grandezza e il suo onore avrebbe meritato, unico tra i misfatti e le azioni corrotte, di valicare i confini ineluttabili, inviolabili della morte, non poteva vivere solo in quella foto; aborriva di potersi compiacere solo di un ricordo suscitato da un'immagine non immune alla dissoluzione. Il suo amore aveva bisogno di ritornare al suo seme, all'origine che in principio lo scatenò, a quella fisicità che il passare del tempo discredita pur nelle coppie ancora in vita, celandola nell'abitudine, ossia quel cancro nascente che progressivamente ci adombra la mente solo di dubbi, distogliendo l'attenzione dal prologo generatore delle nostre scelte. Erano passati anni dalla scomparsa della donna che aveva tanto amato in vita e aveva continuato a ricordare fino ad ora. Lustri di solitudine e mero ricordo che non gli avevano più fatto vivere il presente, estirpandolo dalla cognizione del tempo, come se questo si fosse fermato dal momento luttuoso, come se il trapasso della compagna avesse distrutto un orologio interiore, arrestandolo all'ora stessa della morte. Quando un amore umano raggiunge vette invalicabili di intensità, sconfinando nel divino, allorchè l'umano sentire si tramuta nella sensitività di un essere capace solo di provare emozioni perfette, immuni alla corruzione, all'egoismo, all'interesse, questi amori non accettano neppure la fine ultima delle cose che la nostra educazione ci insegna, assoldandoci alla rassegnazione e convertendoci all'impotenza sin dalla nascita, ossia l'inevitabilità della morte. L'amore è vita e la vita si nutre perpetuamente di fisicità, di contatto epidermico che nel mondo animale dal quale proveniamo, genera l'unica legge di salvezza della specie, ossia il ciclo riproduttivo. Il vero amore merita di superare le incorruttibili leggi della morte che nessun uomo ha mai tentato di sopraffare prima e per lo stesso motivo per cui l'uomo medesimo, essere dotato di sensibilità e intelligenza, consapevolezza ma speranza, non merita di vedersi spegnere la vita di fronte a leggi naturali che lui stesso, abituato a comandare il mondo e a modificarne le regole, non ha chiesto nè mai avrebbe voluto, pur a costo di non nascere nemmeno. Ad un tratto la mente di Peter si svegliò dal torpore del lutto. Capì che la visione di quella fotografia non era un modo degno di reiterare il ricordo e di vivere ciò che la vita stessa gli aveva tolto. Concepì la rinnovata consapevolezza che in questo modo non stava forgiando perseveranza in quel rapporto stroncato, ma stava vivendo solo con il riflesso di sè stesso e della sua solitudine, che si rispecchiava in quella foto. In quell'immagine tremante a seguire il tremore delle sue mani, colse di non vedere più il volto dell'amata spirata, ma solo il riflesso della sua alienazione, come se stesse infierendo unicamente con il proprio dolore, come se nel mirarla, stesse contemplando il suo dolore in un autocompiacimento onanista. Più i ricordi si allontanavano dalla cognizione del fluttuante presente nell'inesorabilità del tempo che fugge senza prestare attenzione agli eventi e ai sentimenti, e più quelle stesse memorie si rendevano odiose perchè si accompagnavano alla consapevolezza della vanità del tutto. Fu allora che in un triste 17 novembre di un anno insulso che al lettore non interesserà sapere poichè non preclude l'avvicendarsi di questa storia, che Peter prese una decisione rivoluzionaria. Corteggiò l'idea di recarsi la notte stessa nel cimitero del proprio paese di campagna in cui era stata sepolta la sua amata e, sfruttando il completo isolamento del camposanto rispetto alle abitazioni più adiacenti oltre alla complicità dell'orario insospettabile, dissotterrarne il cadavere. Nel momento di munirsi di pala e di preparsi concretamente all'azione, calcolò di poter scavalcare facilmente il muro di recinzione della piccola necropoli con l'ausilio del cofano della propria auto che avrebbe utilizzato quale scala. Arrivato al principio del muricciolo di fianco alla chiesa nel pieno di una silenziosa notte senza stelle, fu felice di constatare che quel pittoresco gradino scelto quale strumento per introdursi tra le lapidi di chi perse i sogni vitali nell'annichilimento del trapasso, si rivelasse effettivamente efficace al proprio rinnovato scopo. Fu così che quindi scavalcò il muro non prima di lanciare la pala dall'altra parte del confine tra i vivi e gli imperituri dormienti, per recuperarla poi, una volta ridisceso lo sconfinamento con l'ausilio di una lapide posta, come di consueto, sul principio del muro medesimo, quando atterrò i propri piedi all'interno del giardino funebre costellato delle mortifere dimore. Accese la pila e si fece luce nel vicolo che lo portò al feretro di colei che ancora bramava. I rami cadenti degli alberi attorno, disseminati tra i loculi e i sepolcri dei borghesi come degli umili, proiettavano dalla luce della torcia, sagome di mani ossute sugli epitaffi, mani come di chi volesse abbracciare i defunti nella consolazione e nella memoria di chi ancora è sospeso nel fragile tragitto dell'esistenza. Nonostante il buio completo attorno, Peter non faticò a trovare l'urna dell'amata, agevolato dalle modeste dimensioni di quel cimitero di poche anime. Arrivato che fu di fronte all'iscrizione funebre che decretava sulla sua pietra tombale, le date di nascita e trapasso di colei che fu la sua unica ragione di vita, cominciò a scavare come un ossesso, prelevando intere zolle di terriccio reso molle dalle recenti piogge, con la veemenza di chi è vittima di ossessioni morbose ma la tranquillità del sapere di non venir udito o disturbato, in quell'angolo di pace distante dal mondo caotico e dalle distrazioni dei vivi. Quando giunse al coperchio della modesta bara di legno ad appena un metro e mezzo dalla superficie con ancora strati di polvere di terra disseminata caoticamente sopra, fece leva con la punta in metallo della pala stessa per scardinarlo ed aprirlo prontamente con la complicità dell'esiguo numero di chiodi utilizzati per serrarlo. Quando il coperchio si aprì, un pungente e fetido miasma di putrefazione si introdusse insolente nelle sue narici, riportando alla mente immagini di acidità e dissoluzione degli organici elementi ma la convinzione con cui si adoperò, valicò qualsiasi dubbio e remora dell'ultimo istante e lo assistette nella audace presa del cadavere ossuto ormai alleggerito perchè ridotto ad uno scheletro privato del volume corporeo. Lo prese, lo abbracciò, lo caricò sulle spalle estraendolo dal suo letto. Ricoperse la buca, spianò la terra con la base della pala, si assicurò puntandovi la torcia che il sacrilegio dell'esumazione appena compiuta, non destasse sospetto e sdegno alcuno e, riafferrando lo scheletro della sua amata e ricaricandolo sulle proprie spalle, si preoccupò di uscire da quelle mura. Tornato a casa, chiuse tutte le tapparelle per celare la violazione compiuta da sguardi indiscreti, accese poi la luce e appoggiò lo scheletro nel divano del soggiorno. Lo fissò. Lo mirò a lungo. Si accese una sigaretta e agevolò tra i cerchi di fumo che si espandevano intorno, la propria riflessione. Colse del cadavere che aveva innanzi, il trapassato fascino, la corrotta bellezza che nulla recava su di sè del trascorso fulgore. Argomentò tra sè che quello di fronte a lui sarebbe potuto essere lo scheletro pur di una persona qualsiasi, scambiata per sbaglio dal becchino tanto aveva cancellato sulla propria immagine ogni più timido segno di riconoscibilità, nell'ombra della morte che getta il suo drappo nero su ogni individualità, assottigliando il tutto ed equiparandolo al nulla. Lo osservò attentamente preoccupandosi di non trascurare dettaglio alcuno ma non riuscì ad individuare un seppur infimo profilo di riconoscimento neppure nella dentatura marcita di quell'ammasso di ossa senza più volto. Si convinse poi che quelli di fronte ai suoi occhi increduli e sconvolti, erano pur sempre i resti di colei che lacerò irrimediabilmente il suo cuore innamorato e la afferrò, la alzò, la abbracciò, la baciò nel cranio disincarnato e la portò nel letto, adagiandola su quelle lenzuola che avevano assistito ai loro migliori momenti di passione, consumata nei fervori dell'amore in vita. Maupassant diceva che il letto è tutto ciò che ci assiste dal principio al termine della nostra esistenza perchè tutto facciamo nel letto: nasciamo, ci ammaliamo, amoreggiamo e infine moriamo in un letto. Quell'oggetto apparentemente così innocuo, ma testimone di tutte le nostre gioie e afflizioni, imperterrito compagno di vita, doveva quindi divenire anche il luogo dove consumare l'ennesimo atto d'amore, reso estremo solo dalla prematura morte sopraggiunta anzitempo. Fu così che decise di portarsi appresso quello scheletro, abbracciarlo, avvolgerlo con le proprie membra, baciarlo sulla dentatura perpetuamente, sfacciatamente e audacemente sfoggiata in tutto il suo assoggettamento alla corruzione, e di deflorare ancora ma quel bacino di ossa ormai privato del tepore della carne, ormai estinto dall'opportunità di scovarne il canale del piacere, essendo esso stesso deturpato del suo strumento vitale di perpetuamento della specie. Ad un tratto si accorse che quel rapporto necrofilo così maldestramente improvvisato, fu ridicolo e quanto mai lontano dal sembrare attraente. La donna che amò in vita, aveva irrimediabilmente perso tutto il suo fascino, non inoltrandone dettaglio alcuno oltre il confine della vita terrena. Ogni peculiare segno di individualità era stato impunemente cancellato dalla morte, che annichilisce tutto non curandosi di nomi nè dinastie, titoli o storie nè di distinzioni corteggiate altrimenti in vita. Assentì con sopravvenuta impotenza alla consapevolezza di aver appena tentato scioccamente di avere un rapporto con uno scheletro qualunque, che sarebbe potuto essere di chiunque. Percepì allora anche i limiti di un amore che era parso, sino a quel momento, di non averne alcuno; accolse la corruttibilità di ciò che appariva incorruttibile e il potere invincibile di una morte che spoglia anche l'amore, dopo avergli conferito ossigeno solo con le illusioni della mente drogata di chi l'amore lo prova e quindi così lo genera inconsciamente ma unicamente nella prigione della sua mente visionaria. Capì che ciò che i vivi chiamano amore in realtà, di fronte al passo estremo della morte, è solo illusione e fragilità, inganno della mente viva, assoggettato al disincanto del trapasso. Quando si rese consapevole anche della fragilità di ciò che pensava fosse più forte della stessa morte, non potè che corteggiare la coscienza della fine del senso stesso della sua esistenza ed il conseguente desìo dell'autodistruzione, perito l'unico movente che dava a quella stessa vita un significato. Fu allora che prese una corda. La legò saldamente e scrupolosamente ad una trave del soffitto e ancor più tenacemente intorno al proprio collo, preparandosi a scaraventare la sedia sotto i suoi piedi con un calcio che avrebbe presto decretato la fine di un'esistenza vissuta solo al cospetto di un inganno.

Emmanuel Gravier Menchetti.

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