mercoledì 12 febbraio 2014

"LA MALEDIZIONE" - MIO RACCONTO

Caro Alberto, ho chiesto di farti recapitare a mano questa lettera, pretendendo di tenerti all'oscuro dell'indirizzo ma soprattutto del tipo di posto in cui ora mi trovo e da cui ti sto scrivendo, perchè altrimenti potresti già capire tutto o non darmi credito su ciò che sto per comunicarti. Ti anticipo che non mi trovo in casa, no ... non mi trovo nella mia casa divenuta così vuota, dove i miei passi per le scale e persino gli incubi e i pensieri sembrano echeggiare tra le sue mura distanti. Tu sai cosa è capitato nell'ultimo anno della mia triste e ormai solitaria esistenza. Nell'arco di questo infimo lasso di tempo dalla morte di mia madre per cancro, episodio che, già di per sè, modificò drasticamente la mia vita, ti ricordo che morì anche mio fratello solo quattro mesi dopo in un incidente stradale e dopo otto mesi pure mio padre e nello stesso scellerato e malaugurato modo. Ricorderai certamente che ti parlai già in occasione dell'incidente di mio fratello, di una maledizione che incombeva, spietata, sulla mia famiglia; so che ricordi i miei timori, la mia paura che sarei stato io il prossimo della lista a morire, magari della stessa morte violenta. Dicevi che ero divenuto ossessivo e ipocondriaco ma poi, in seguito alla morte anche di mio padre, ti chiudesti nel silenzio dell'imbarazzo, forse perchè anche tu cominciasti, nelle segrete stanze del tuo pensiero non meno perverso del mio, a convincerti che avevo ragione. Si ... lo so cosa stai pensando, che ora sono l'unico erede e dovrei scrollarmi di dosso certe folli superstizioni e godermi il sudore dell'impero finanziario di mio padre anzichè farmi prendere da ossessioni e paranoie. Non ci riesco. Sento sempre rumori in questa casa come di passi felpati o di oggetti che si muovono, li sento di notte quando il mio sonno è interrotto da quel sottile strato ancor quasi onirico di comprensione che è la veglia perpetua di chi soffre di incubi continui. Li sento mentre suono il pianoforte solo in camera, nelle pause tra un accordo e l'altro. Li odo mentre creo le mie sculture mostruose di esseri improbabili forse sognati o solo temuti e mentre dipingo oscuri abissi marini dimenticati dal tempo e dalla conoscenza umana, nei visionari frangenti in cui il mio pennello danza ammiccando con i colori bluastri sulla tela, deridendomi del mio terrore. Loro, i rumori, sono sempre con me, sono ormai gli unici compagni a non lasciarmi mai solo. Colgo anche l'occasione per ringraziarti di esserti offerto di aiutarmi economicamente e nelle faccende di casa, conoscendo quanto sono maldestro anche solo nel cuocermi un uovo, ma sai, mio padre aveva lasciato un bel gruzzoletto di sessantamila euro nel mio conto poco prima di morire; lo aveva fatto perchè, come sai, la sua azienda era fallita e le banche gli stavano col fiato sul collo, annaspando come iene su tutto ciò che fosse intestato a lui, manco fosse una carogna da spolpare ed è con quei soldi che, oltre a pagare il suo funerale, pago una donna ucraina per tutte le faccende domestiche, una simpatica ragazza che già conosce bene la casa, dato che fu assunta subito dopo la morte terribile di mia madre. Non sa nulla dei rumori perchè quando c'è lei quelle maledette presenze se ne vanno, tanto perseguitano solo me. Ho anche tentato di parlarle di quello che succede in questa casa quando non c'è, ma lei mi deride con quella sua risatina ingenua con cui sembra voler risolvere e spazzare via tutto così come rimuove la polvere dagli scaffali, con quella sua squallida quotidianità, con quella lucida routine priva di fantasia, tipica delle lavandaie e di tutti i lavori manuali svolti per necessità economiche che disconoscono il fascino delle cose misteriose e macabre di chi, come me, ha invece avuto il tempo e la facoltà di concepire. La percezione dell'immane impatto delle umani tragedie, del naturale ma scellerato decorso del destino non è cosa che possa essere contemplata nelle piccole menti addomesticate dalla necessità di sopravvivenza. Il reale dolore è destinato solo ai nobili, ma anche ai piccoli borghesi come me, purchè l'agiatezza economica ci sollevi da problemi di infima sopravvivenza per lasciarci il tempo da dedicare alla letteratura, alla riflessione, alla lettura filosofica delle cose e degli eventi. Il lutto e per di più intriso di sventurato malocchio, ha colpito, come sai, la mia famiglia e sai anche che vorrei andarmene da questo paese, vendere quella casa maledetta e fuggire via, lasciandomi alle spalle quei rumori di passi che ticchettano nel mio cervello, torturandone il sonno e i ricordi di cui è pregno ogni angolo di questo ormai vuoto edificio, ma non posso andarmene, non più e per un motivo che scoprirai se avrai la pazienza di arrivare alla fine di questa lettera. Le case parlano, racchiudono lo spirito di chi ci ha vissuto e questo spirito ancora ci vive dentro, specie quando le persone sono perite di morte violenta. Se avessi potuto vendere la casa e andarmene per sempre, un nuovo inquilino forse avrebbe potuto viverci allegramente, trapiantandovi una nuova famiglia, libera dalla maledizione che invece è gravata sulla mia. Avrebbe potuto viverci senza neanche accorgersi del suono di quei passi o dello spostamento degli oggetti, magari perchè distratto dal rumore stesso di un nucleo di più persone, mentre io, solo, nel mio silenzio, devo subire consapevolmente il macabro incanto di queste presenze, che chiamano solo me al loro cospetto, che amano farsi corteggiare solo dalla mia attenzione eccitata. Perchè allora non vendo tutto e me ne vado via?.... perchè non fuggo in Thailandia o in Brasile o in Nepal o in qualsiasi altra meta esotica dove potrei comprare più case e vivere di rendita, utilizzandone una per abitarci e le altre per affittarle?! .... che mente umile che sei, credi che non ci abbia già pensato? ... non posso, è quello che sto tentando di dirti. No... so cosa stai pensando, che ti dico questo perchè mi sono convinto che tanto la maledizione mi seguirebbe ovunque. Certo, mi sta seguendo in qualsiasi dimensione spazio temporale ma questa mia convinzione pare che sia la causa stessa per cui ora mi trovo qui. Non sai dove mi trovo? .... mi trovo in un ospedale psichiatrico dove dovrò finire i miei giorni perchè lo psichiatra che mi sta seguendo e il giudice che qui mi ha mandato, sono assolutamente convinti che sia stato io a uccidere mio fratello e poi mio padre. Ti chiederai come sia possibile dato che sono morti in un incidente stradale. Beh.. dall'autopsia risulta che entrambe avessero ingerito un veleno che, nel giro di pochi minuti, porterebbe ad uno stato catalettico e che io avrei fatto bere ad entrambe sciogliendolo nel loro fatale bicchiere d'acqua, poco prima che uscissero di casa per guidare l'auto, in modo da far sembrare che la morte incombesse per un incidente stradale mentre in realtà le loro auto si schiantarono con già un cadavere al volante! Le autopsie furono predisposte in quanto non era chiaro perchè in entrambe i casi non risultassero segni di frenata sull'asfalto e poi notarono tracce di questo veleno già nel sangue di mio fratello; all'epoca ebbero già dei sospetti su di me poi quando trovarono le stesse tracce sul corpo di mio padre non ebbero più dubbi. E la storia della maledizione? Ho provato a spiegarlo ma non mi credono, o meglio, non è che non credono alle mie parole, ma non si fidano della sanità della mia mente ed è il motivo per cui ora mi trovo rinchiuso qua dentro. Se ti faccio leggere il rapporto che lo psichiatra ha consegnato al giudice ti verrà da ridere sulle mie sventure. Te lo avevo detto che la maledizione mi sta perseguitando. Lo psichiatra sostiene che io soffra di una doppia personalità, una fredda e lucida ed è quella che ha architettato i due omicidi travestiti da finti incidenti per ottenere l'eredità, e l'altra, forse quella che ti sta scrivendo ora, assolutamente ignara della sua stessa esistenza e, allo stesso tempo, vittima della mia altra metà assassina e convinta che il macabro susseguirsi degli eventi sia da addebitarsi, appunto, alla maledizione di cui ti ho sempre parlato, come se questa mia parte ingenua non si ricordasse di quello che io stesso ho fatto, come se tra le mie due metà ci fosse un confine netto di memoria in cui i pensieri non si miscelano, non conoscono osmosi, rimanendo invece distinti come l'acqua a contatto con una macchia d'olio. E' tutto così assurdo. Non so neppure se mi permetteranno di recapitarti questa missiva. La maledizione, come vedi, ha colpito anche me, non lo ha fatto con la morte atroce dei miei consanguinei ma con il metodo più sottile e pungente della tortura psicologica, dell'infamia, dell'accusa, relegandomi a questo ospedale di matti, rinchiudendomi in questa strana prigione in cui l'intelligenza viene chiamata follia e la verità delirio ed in cui temo che rimarrò rinchiuso per il resto dei miei tristi e solitari giorni.

Emmanuel Gravier Menchetti.

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