Parafrasando il titolo di questo album, tra l'altro introdotto da un artwork di eccezionale fattura, incentrato su una metamorfosi orgiastica tra specie animali e umanoidi in cui le une inghiottono le altre prendendone allo stesso tempo le sembianze (insomma un'immagine che a me che soffro di certe perversioni, ha fatto sfiorare quasi l'orgasmo e la commozione cerebrale!!), la musica che si libera furiosa come una tempesta apocalittica dalle sue sanguinose tracce, travolge senza pietà tutto ciò che trova intorno, proiettando la mente dell'ascoltatore verso una dimensione futuristica visionaria ancora sconosciuta all'attuale pace terrestre e che è umanamente indesiderabile, corrotta, brutale e ignobile, relegando l'anima umana ad una sorta di prigione onirica e claustrofobica, in un deserto di morte da scenario post-atomico, in cui le aspettative vengono spazzate via da un gigantesco orco che, con la voce devastante, di biblica potenza del pesarese Luca "Dave" Scarlatti, inghiotte la luce di qualsiasi speranza di sopravvivenza in un Chaos cosmico catastrofico, rovinoso e degenerato. Il tema futuristico-apocalittico era già caro alla sua precedente band di cui è rimasto orfano ossia gli E.t.h.a.n., reduci del valido "I want to believe" del 2010. Le sonorità sono cristalline, curate nel minimo dettaglio sino al parossismo dal grandissimo guru della produzione Simone Mularoni che riesce, con la sua opera, a creare ordine e definizione dei suoni, plasmando come argilla in mani sapienti, l'istinto di demolizione totale e assoluta che pulsa forte nelle corde della band riminese senza minimamente ridurre il loro impatto, ma anzi ottimizzandolo e sublimandolo in un'ottica artistica degna del massimo rispetto. La sezione ritmica è un treno in corsa intento unicamente a sradicare tutto ciò che malauguratamente si trovi nelle vicinanze, travolgendolo in un inferno sonoro di portata cosmica e dannatamente accattivante. Il riffing brutale mostra una precisione chirurgica, è spietato, freddo, tagliente, come la lama di un macellaio, bruciante, claustrofobico e incastonato perfettamente tra i vari cambi ritmici ma non sacrifica, allo stesso tempo, fraseggi melodici all'unica bandiera della brutalità incondizionata. La voce è la trasposizione in musica di tutto ciò che possa essere più devastante, ferale, annichilente e capace di sopraffare con la sua potenza lisergica qualsiasi forma di vita vertebrata e invertebrata, come l'eco di un mostro lovecraftiano in una valle desolata di cadaveri calpestati e spremuti dal peso del suo passaggio. Le frequenze raggiunte da questa ugola d'acciaio toccano tutte le sfumature del genere trattato, dal più ferale scream capace di auto-sradicarsi masochisticamente le corde vocali al più cupo e potente growl, profondo come il baratro lasciato dall'impatto di un meteorite, memore di ammonirci che dovremo morire tutti come vermi pestati senza speranza. Insomma... la Svezia si è trasferita qui, tra Marche e Romagna, riverberando la sua indole di distruzione tra i folti boschi del monte San Bartolo. In una frase .. un colosso monolitico di inaudita violenza, di ineccepibile audacia bellica: uno dei dischi più devastanti di brutal death mai ascoltato in 25 anni.
VOTO: 8,5
Emmanuel Gravier Menchetti.
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