Non
poteva smettere di guardare quella foto. La teneva in mano
lasciandola tremare per la forte emozione, quel miscuglio di ansietà
e rassegnazione, cruccio e sofferenza struggente che lo attanagliava
dalla morte di sua moglie. L'immagine di quella donna, eterna di
fronte al corso degli eventi, resa immortale e libera dalla
corruzione del tempo inesorabile, era l'unico ricordo che Peter
manteneva dopo la sua tragica morte. Quel piccolo specchio di
serenità, porta per riconvertire al remoto, passaggio per il mondo
etereo e mentale dei ricordi, cominciava esso stesso a sbiadirsi col
tempo, a perdere la vivacità dei colori e dei contrasti come la
vitalità, le passioni e l'entusiasmo gradualmente abbandonano le
menti ottenebrate con l'incipiente aridità della vecchiezza.
L'inevitabile logoramento, il lento decadimento che intaccava pure
gli oggetti al pari degli esseri viventi fino all'unico esito ultimo
della morte universale che inghiotte parimenti il tutto e della fine
imprescindibile, del nulla ineluttabile vissuto come naturale termine
del ciclo di tutte le cose, cominciava a vincolare la mente di Peter
ad un pensiero fisso, ad una monomania che si contorceva in una
stanza circoncisa solo di ombre inviolabili, di tenebre invalicabili,
di libertà interdette. Il suo amore così intenso, che per la sua
grandezza e il suo onore avrebbe meritato, unico tra i misfatti e le
azioni corrotte, di valicare i confini ineluttabili, inviolabili
della morte, non poteva vivere solo in quella foto; aborriva di
potersi compiacere solo di un ricordo suscitato da un'immagine non
immune alla dissoluzione. Il suo amore aveva bisogno di ritornare al
suo seme, all'origine che in principio lo scatenò, a quella fisicità
che il passare del tempo discredita pur nelle coppie ancora in vita,
celandola nell'abitudine, ossia quel cancro nascente che
progressivamente ci adombra la mente solo di dubbi, distogliendo
l'attenzione dal prologo generatore delle nostre scelte. Erano
passati anni dalla scomparsa della donna che aveva tanto amato in
vita e aveva continuato a ricordare fino ad ora. Lustri di solitudine
e mero ricordo che non gli avevano più fatto vivere il presente,
estirpandolo dalla cognizione del tempo, come se questo si fosse
fermato dal momento luttuoso, come se il trapasso della compagna
avesse distrutto un orologio interiore, arrestandolo all'ora stessa
della morte. Quando un amore umano raggiunge vette invalicabili di
intensità, sconfinando nel divino, allorchè l'umano sentire si
tramuta nella sensitività di un essere capace solo di provare
emozioni perfette, immuni alla corruzione, all'egoismo,
all'interesse, questi amori non accettano neppure la fine ultima
delle cose che la nostra educazione ci insegna, assoldandoci alla
rassegnazione e convertendoci all'impotenza sin dalla nascita, ossia
l'inevitabilità della morte. L'amore è vita e la vita si nutre
perpetuamente di fisicità, di contatto epidermico che nel mondo
animale dal quale proveniamo, genera l'unica legge di salvezza della
specie, ossia il ciclo riproduttivo. Il vero amore merita di superare
le incorruttibili leggi della morte che nessun uomo ha mai tentato di
sopraffare prima e per lo stesso motivo per cui l'uomo medesimo,
essere dotato di sensibilità e intelligenza, consapevolezza ma
speranza, non merita di vedersi spegnere la vita di fronte a leggi
naturali che lui stesso, abituato a comandare il mondo e a
modificarne le regole, non ha chiesto nè mai avrebbe voluto, pur a
costo di non nascere nemmeno. Ad un tratto la mente di Peter si
svegliò dal torpore del lutto. Capì che la visione di quella
fotografia non era un modo degno di reiterare il ricordo e di vivere
ciò che la vita stessa gli aveva tolto. Concepì la rinnovata
consapevolezza che in questo modo non stava forgiando perseveranza in
quel rapporto stroncato, ma stava vivendo solo con il riflesso di sè
stesso e della sua solitudine, che si rispecchiava in quella foto. In
quell'immagine tremante a seguire il tremore delle sue mani, colse
di non vedere più il volto dell'amata spirata, ma solo il riflesso
della sua alienazione, come se stesse infierendo unicamente con il
proprio dolore, come se nel mirarla, stesse contemplando il suo
dolore in un autocompiacimento onanista. Più i ricordi si
allontanavano dalla cognizione del fluttuante presente
nell'inesorabilità del tempo che fugge senza prestare attenzione
agli eventi e ai sentimenti, e più quelle stesse memorie si
rendevano odiose perchè si accompagnavano alla consapevolezza della
vanità del tutto. Fu allora che in un triste 17 novembre di un anno
insulso che al lettore non interesserà sapere poichè non preclude
l'avvicendarsi di questa storia, che Peter prese una decisione
rivoluzionaria. Corteggiò l'idea di recarsi la notte stessa nel
cimitero del proprio paese di campagna in cui era stata sepolta la
sua amata e, sfruttando il completo isolamento del camposanto
rispetto alle abitazioni più adiacenti oltre alla complicità
dell'orario insospettabile, dissotterrarne il cadavere. Nel momento
di munirsi di pala e di preparsi concretamente all'azione, calcolò
di poter scavalcare facilmente il muro di recinzione della piccola
necropoli con l'ausilio del cofano della propria auto che avrebbe
utilizzato quale scala. Arrivato al principio del muricciolo di
fianco alla chiesa nel pieno di una silenziosa notte senza stelle, fu
felice di constatare che quel pittoresco gradino scelto quale
strumento per introdursi tra le lapidi di chi perse i sogni vitali
nell'annichilimento del trapasso, si rivelasse effettivamente
efficace al proprio rinnovato scopo. Fu così che quindi scavalcò il
muro non prima di lanciare la pala dall'altra parte del confine tra i
vivi e gli imperituri dormienti, per recuperarla poi, una volta
ridisceso lo sconfinamento con l'ausilio di una lapide posta, come di
consueto, sul principio del muro medesimo, quando atterrò i propri
piedi all'interno del giardino funebre costellato delle mortifere
dimore. Accese la pila e si fece luce nel vicolo che lo portò al
feretro di colei che ancora bramava. I rami cadenti degli alberi
attorno, disseminati tra i loculi e i sepolcri dei borghesi come
degli umili, proiettavano dalla luce della torcia, sagome di mani
ossute sugli epitaffi, mani come di chi volesse abbracciare i defunti
nella consolazione e nella memoria di chi ancora è sospeso nel
fragile tragitto dell'esistenza. Nonostante il buio completo attorno,
Peter non faticò a trovare l'urna dell'amata, agevolato dalle
modeste dimensioni di quel cimitero di poche anime. Arrivato che fu
di fronte all'iscrizione funebre che decretava sulla sua pietra
tombale, le date di nascita e trapasso di colei che fu la sua unica
ragione di vita, cominciò a scavare come un ossesso, prelevando
intere zolle di terriccio reso molle dalle recenti piogge, con la
veemenza di chi è vittima di ossessioni morbose ma la tranquillità
del sapere di non venir udito o disturbato, in quell'angolo di pace
distante dal mondo caotico e dalle distrazioni dei vivi. Quando
giunse al coperchio della modesta bara di legno ad appena un metro e
mezzo dalla superficie con ancora strati di polvere di terra
disseminata caoticamente sopra, fece leva con la punta in metallo
della pala stessa per scardinarlo ed aprirlo prontamente con la
complicità dell'esiguo numero di chiodi utilizzati per serrarlo.
Quando il coperchio si aprì, un pungente e fetido miasma di
putrefazione si introdusse insolente nelle sue narici, riportando
alla mente immagini di acidità e dissoluzione degli organici
elementi ma la convinzione con cui si adoperò, valicò qualsiasi
dubbio e remora dell'ultimo istante e lo assistette nella audace
presa del cadavere ossuto ormai alleggerito perchè ridotto ad uno
scheletro privato del volume corporeo. Lo prese, lo abbracciò, lo
caricò sulle spalle estraendolo dal suo letto. Ricoperse la buca,
spianò la terra con la base della pala, si assicurò puntandovi la
torcia che il sacrilegio dell'esumazione appena compiuta, non
destasse sospetto e sdegno alcuno e, riafferrando lo scheletro della
sua amata e ricaricandolo sulle proprie spalle, si preoccupò di
uscire da quelle mura. Tornato a casa, chiuse tutte le tapparelle per
celare la violazione compiuta da sguardi indiscreti, accese poi la
luce e appoggiò lo scheletro nel divano del soggiorno. Lo fissò. Lo
mirò a lungo. Si accese una sigaretta e agevolò tra i cerchi di
fumo che si espandevano intorno, la propria riflessione. Colse del
cadavere che aveva innanzi, il trapassato fascino, la corrotta
bellezza che nulla recava su di sè del trascorso fulgore. Argomentò
tra sè che quello di fronte a lui sarebbe potuto essere lo scheletro
pur di una persona qualsiasi, scambiata per sbaglio dal becchino
tanto aveva cancellato sulla propria immagine ogni più timido segno
di riconoscibilità, nell'ombra della morte che getta il suo drappo
nero su ogni individualità, assottigliando il tutto ed equiparandolo
al nulla. Lo osservò attentamente preoccupandosi di non trascurare
dettaglio alcuno ma non riuscì ad individuare un seppur infimo
profilo di riconoscimento neppure nella dentatura marcita di
quell'ammasso di ossa senza più volto. Si convinse poi che quelli di
fronte ai suoi occhi increduli e sconvolti, erano pur sempre i resti
di colei che lacerò irrimediabilmente il suo cuore innamorato e la
afferrò, la alzò, la abbracciò, la baciò nel cranio disincarnato
e la portò nel letto, adagiandola su quelle lenzuola che avevano
assistito ai loro migliori momenti di passione, consumata nei fervori
dell'amore in vita. Maupassant diceva che il letto è tutto ciò che
ci assiste dal principio al termine della nostra esistenza perchè
tutto facciamo nel letto: nasciamo, ci ammaliamo, amoreggiamo e
infine moriamo in un letto. Quell'oggetto apparentemente così
innocuo, ma testimone di tutte le nostre gioie e afflizioni,
imperterrito compagno di vita, doveva quindi divenire anche il luogo
dove consumare l'ennesimo atto d'amore, reso estremo solo dalla
prematura morte sopraggiunta anzitempo. Fu così che decise di
portarsi appresso quello scheletro, abbracciarlo, avvolgerlo con le
proprie membra, baciarlo sulla dentatura perpetuamente,
sfacciatamente e audacemente sfoggiata in tutto il suo
assoggettamento alla corruzione, e di deflorare ancora ma quel bacino
di ossa ormai privato del tepore della carne, ormai estinto
dall'opportunità di scovarne il canale del piacere, essendo esso
stesso deturpato del suo strumento vitale di perpetuamento della
specie. Ad un tratto si accorse che quel rapporto necrofilo così
maldestramente improvvisato, fu ridicolo e quanto mai lontano dal
sembrare attraente. La donna che amò in vita, aveva
irrimediabilmente perso tutto il suo fascino, non inoltrandone
dettaglio alcuno oltre il confine della vita terrena. Ogni peculiare
segno di individualità era stato impunemente cancellato dalla morte,
che annichilisce tutto non curandosi di nomi nè dinastie, titoli o
storie nè di distinzioni corteggiate altrimenti in vita. Assentì
con sopravvenuta impotenza alla consapevolezza di aver appena tentato
scioccamente di avere un rapporto con uno scheletro qualunque, che
sarebbe potuto essere di chiunque. Percepì allora anche i limiti di
un amore che era parso, sino a quel momento, di non averne alcuno;
accolse la corruttibilità di ciò che appariva incorruttibile e il
potere invincibile di una morte che spoglia anche l'amore, dopo
avergli conferito ossigeno solo con le illusioni della mente drogata
di chi l'amore lo prova e quindi così lo genera inconsciamente ma
unicamente nella prigione della sua mente visionaria. Capì che ciò
che i vivi chiamano amore in realtà, di fronte al passo estremo
della morte, è solo illusione e fragilità, inganno della mente
viva, assoggettato al disincanto del trapasso. Quando si rese
consapevole anche della fragilità di ciò che pensava fosse più
forte della stessa morte, non potè che corteggiare la coscienza
della fine del senso stesso della sua esistenza ed il conseguente
desìo dell'autodistruzione, perito l'unico movente che dava a quella
stessa vita un significato. Fu allora che prese una corda. La legò
saldamente e scrupolosamente ad una trave del soffitto e ancor più
tenacemente intorno al proprio collo, preparandosi a scaraventare la
sedia sotto i suoi piedi con un calcio che avrebbe presto decretato
la fine di un'esistenza vissuta solo al cospetto di un inganno.
Emmanuel
Gravier Menchetti.
Nessun commento:
Posta un commento