"....Ti
prego, aiutami, ho bisogno di trovarmi una sistemazione, un
lavoro....una nuova vita!" - così terminava la lunga missiva
con cui Jacques tentò di spiegare a sua zia Brigitte, la propria
condizione priva di futuro, dopo la morte dei genitori in un
incidente aereo. La mancanza di un lavoro che lo potesse sostenere,
l'affitto da pagare in una casa rimasta luttuosamente vuota in
seguito alla improvvisa disgrazia, lo spinse alla disperata scelta di
un'emigrazione, vista come l'ultima via d'uscita da una situazione
insostenibile di povertà altrimenti sicura, di solitudine, senza più
appoggi. Jacques era un ragazzo ancora giovane, appena diplomato,
inesperto in qualsiasi lavoro che potesse dar da mangiare invece ad
un uomo divenuto indipendente, nelle selvagge regole non scritte di
una società sempre più simile a una giungla senza diritti; si
sentiva come vergine di fronte alla prima ludica occasione di
conquistarsi una donna, abituato solo a comportarsi da bambino,
avvezzo unicamente al farsi mantenere, non per colpa, ma per
eccessivo amore dei genitori improvvisamente scomparsi, unito alla
triste sorte degli eventi che nulla rassicura ma tutto lascia al
caso. Chi si sarebbe ora preso cura di lui in seguito alla traumatica
amputazione del cordone ombelicale che lo legava alla madre, in un
ventre materno rimasto vuoto e senza più le sue mura ristoratrici?
Chi mai avrebbe dato un lavoro ad un ragazzo inesperto senza qualche
conoscenza o appoggio paterno? .... e a chi chiedere aiuto se non a
quella strana zitella che rispondeva alla figura della sorella
materna, rimasta vedova in seguito alla grave malattia degenarativa
che colpì il marito molti anni prima? Era costei una donna ormai
vicina alla soglia che, pur rispettosamente, può essere definita
anzianità, sofferente di quella inguaribile malattia cronica
chiamata depressione o meno drammaticamente nostalgia e che affligge
le menti delle persone rimaste sole oltre una certa età, quando
ormai le speranze e la ingenua visione del futuro lasciano spazio al
solo cinismo e alla certezza, pur talvolta presuntuosa, sul corso
degli eventi nonchè alla conseguente malinconia del passato,
rivissuto mentalmente sempre come migliore rispetto al presente e in
relazione a quello che obiettivamente fu. L'inattività lavorativa
sopraggiunta in seguito all'età e permessa dalla reversibilità
della pensione del marito deceduto, non fece altro che infuocare tale
nostalgia e considerazione del passato. Il senso di inutilità unito
alla nullafacenza, il conseguente tempo rimasto per pensare,
consegnato all'improduttività e tolto per contro al lavoro e
all'attività mentale, unito a quella triste fase del nostro tempo in
cui la mente è propensa più a ricordare che a produrre per il
presente, portarono la zia Brigitte ad uno stato di solitudine
divenuto ormai insopportabile e tale per cui, la morte dell'amata
sorella e l'occasione che questo le porse, quasi le sembrò più
un'opportunità di riscatto che un vero e proprio lutto al quale
inginocchiarsi in modo impotente. Del resto, tutti dobbiamo morire,
questo le aveva insegnato il pervenuto cinismo, lontano anni luce
dalle gaie ingenuità giovanili, ma pochi sanno invece che anche a un
certo punto dell'esistenza, quando tutto sembra ormai
irrimediabilmente spento e terminato, la vita ci possa presentare
ancora un'occasione e questo la donna pensò. L'opportunità fu il
potersi circondare di una persona giovane che le facesse compagnia e
il fatto che il proprio nipote, rimasto orfano, le chiedesse egli
stesso aiuto, le parve la materializzazione di una mano dal cielo.
Per comunione di interessi sembrava che i loro destini si fossero
irrimediabilmente incrociati in modo ormai indissolubile. Superato il
dolore per la perdita della sorella, Brigitte fu come ristabilita
moralmente quando lesse la lettera del nipote. Quale migliore
occasione per potersi circondare del calore di un'altra anima in una
casa rimasta vuota da anni, in mezzo alle Alpi francesi, vicino al
confine italiano, in un paesino di una decina di altre piccole
dimore? Di certo Jacques non avrebbe potuto trovare facilmente una
nuova occupazione in un villaggio di contadini sperduto nella purezza
di quelle montagne così ospitali ma inaccessibili, ma la pensione
della zia unita alla economicità di una vita vissuta comodamente in
una casa di proprietà, avrebbe loro permesso di attingervi comunque
dignitosamente, preoccupandosi solo di curarsi della necessarietà
delle faccende domestiche. Il fatto che Jacques non avrebbe mai più
trovato un'occupazione in quel verde immerso nella saggia
tranquillità della natura più incontaminata, in un certo senso,
rassicurava pure l'anziana donna dal timore di ritornare sola. "Ti
prometto che se un giorno ne avrai bisogno, io ti aiuterò, noi ci
aiuteremo!" - ricordò la frase della sorella detta quando erano
bambine. Quella le sembrò pure l'occasione per mantenere la
reciproca promessa fatta. La sorella sarebbe stata felice di
lasciarle il proprio cucciolo e Brigitte era orgogliosa di aiutarlo,
anche pensando a lei. Le argomentazioni che ci portano a fare delle
scelte spesso smuovono considerazioni, desideri
anche inconsci,
talvolta contrastanti, più di quanti consapevolmente si pensa di
contemplare. Jacques dal canto suo, vide in quella donna la sua
salvatrice, la predestinata a dare un alito di nuova linfa alla sua
condizione altrimenti priva di speranza. Era già stato in vacanza da
piccolo nella casa della zia, quando ancora il marito della donna era
vivo, ed il ricordo delle passeggiate col cane in quei sentieri sotto
i quali pareva che si propagasse l'intero mondo, visto dal punto più
alto, come dal suo probabile tetto, lo colmò di entusiasmo con la
suggestione della montagna più pura, dei paesaggi più
incontaminati, delle distese erbose tra gli alberi, negando la
confusione cittadina che ci distrae dalla reale ricerca del nostro io
e che sola può essere esaudita nell' incontro con la natura
selvaggia dalla quale proveniamo. Con questa speranza di riscatto
della propria vita dal lutto familiare, Jacques fece presto la
valigia e partì per le Alpi, libero ormai da preoccupazioni di
sopravvivenza. Appena arrivò nella ritirata dimora della zia, tra le
selve e le rocce di quelle montagne imponenti che pareva
rivendicassero la loro libertà dall'umano presidio, rivide la casa
esattamente come se la ricordava. Riconobbe la carta da parati a
fiori rosa stesa sulle mura, la vista frontale sui prati che, quasi
fossero tappeti verdi, parevano gettati come da una mano divina nel
baratro della valle sottostante, circoncisa da montagne maestose che
gettavano le loro oscure ombre sulle foreste e sulle casupole
disseminate, arroccate nei loro fianchi. Rivide il giardino sul retro
che accoglieva il principio di un bosco, i cui sentieri erano appena
visibili nell'ombra gettata dai rami contorti e invitavano
all'escursione a chi si trovasse affacciato alla finestra della
cucina. Riconobbe il soggiorno, la terrazza frontale, il pianoforte
verticale mai utilizzato di fianco alla porta del bagno, il
lampadario di cristalli nel salotto. Tutto come nella sua visione
infantile di tanti anni prima. Era una piccola casetta nel mezzo del
verde, una dimora umile nelle dimensioni ma signorile nello stile e
nell'arredamento ed in questo il ragazzo individuò il tocco materno.
Vide in quella donna che gentilmente lo ospitava, come una nuova
madre e nei momenti in cui la sua fantasia era sovraeccitata, come la
possessione dello spirito materno che lo accoglieva nuovamente nel
suo grembo, al riparo dalle leggi ingiuste della morte che, nelle
nostre paure, tutto dovrebbero solo annichilire, senza riscatto
alcuno. Quando l'immaginazione, in una mente rimasta ottenebrata dal
lutto o dalla sterile apatia, smette di lavorare, la morte ha già
dettato la sua venuta sugli altrimenti incustoditi prati della vita.
Brigitte invece non rivide lo stesso bambino indifeso di un tempo, ma
si accorse, da subito, di trovarsi di fronte ad un piccolo uomo, con
una rinnovata voce gutturale, un busto formato, delle gambe ben più
lunghe di quelle piccole e gracili che ricordava quando era venuto la prima
volta nella sua casa. Notò le braccia magre ma longilinee e
un'altezza che complessivamente superava la sua e per la quale
avrebbe dovuto volgere la testa verso l'alto per incontrare quello
sguardo divenuto così maturo, privo della primigenia ingenuità di
tenero ed indifeso infante, un poco velato di tristezza per il
probabile decorso degli eventi, ma non anche privato di nuovo fascino
e rinnovata luce nella quale guardare il sopraggiunto nipote. Si
accorse di individuare una sorta di bellezza nel ragazzo, quella
forma di corresponsione dei piaceri che si prova per chi si pone al
proprio pari in un eventuale dialogo o incontro e non solo come un
probabile figlio che susciterebbe per contro, solo la necessarietà
dell'aiuto e dell'assistenza ma non anche dell'armonia reciproca e
ugualitaria. Si stupì di notare questa nuova verità, quando lo vide
in mutande per la prima volta, mentre entrava in cucina per la
colazione. Il sole brillava quella mattina di una infuocata
primavera, irradiando la sua luce rivelatrice dalla finestra in cui
aveva accidentalmente tirato le tende e il conseguente fulgore,
tradiva il potere attrattivo di quel giovane corpo, unito alla
condivisibile piacevolezza del viso, pur ancora assonnato. Del resto
il ragazzo era cresciuto, erano passati svariati anni da quando lo
aveva conosciuto la prima volta ed era chiaro che si sarebbe
presentato in un'ottica nuova. Per questo non si sentì colpevole per
ciò che avvertì, ma anzi sciocca per il fatto di percepire la
sorpresa di ciò che era una inevitabile legge incorruttibile della
natura nel miraggio del tempo. La magia dell'infanzia e
dell'adolescenza è tale per cui un ciuffo sparuto di anni sia già
sufficiente per modificare radicalmente le sembianze di una persona e
tale per cui tutto corra molto più velocemente verso il rinnovamento
continuo. Dopo una certa età tutto pare invece rallentarsi, quasi il
tempo si fermasse, ma solo in ciò che riguarda i gusti e i sapori
che rimangono ancorati alle chimere giovanili e all'illusorietà dei
primigeni fermenti ludici. Quando il ragazzo partì quella mattina
vestito elegantemente di tutto punto, dicendo di voler raggiungere il
villaggio più vicino in cerca di un'occupazione perchè si sentiva
"a disagio e inappropriato a rimanere lì a vivere alle spalle
della sua pensione", la donna, ripresasi subito dallo
stordimento dei precedenti pensieri, gli fece vedere una carta
topografica della zona, spiegandogli quali fossero i villaggi più
popolosi nelle vicinanze. Gli disse che non c'era bisogno che si
preoccupasse di trovarsi un lavoro e che avrebbe potuto rimanere quanto
voleva, mentre gli preparò una sostanziosa colazione a base di uova,
caffè e prosciutto. Lui rispose che non se la sentiva di
approfittare della sua gentilezza, la ringraziò, la baciò sulla
guancia, avvertendone l'inebriante effluvio nell'aria e se ne andò.
Quando chiuse la porta dietro di sè, Brigitte sentì come il bisogno
di andare alla finestra del soggiorno per guardare fuori. Lo vide
allontanarsi sempre più nel sentiero, in cerca di una speranza che
probabilmente non avrebbe esaudito. Si accorse di dispiacersi per
questo e se ne stupì. Quella mattina, rimasta ancora sola in casa,
ebbe poi un sentimento contrastante con quella precedente afflizione.
La nuova contrapposizione la condusse a pregare dentro di sè che il
ragazzo non trovasse invece occupazione alcuna e questo per la paura
che si sistemasse nel prossimo futuro in qualche altra dimora,
abbandonandola nuovamente alla immancabile solitudine. Si rassicurò
poi del fatto che quegli splendidi paesaggi di montagna, avevano, nel
loro candore paradisiaco, l'unico difetto di non garantire di certo
un lavoro che non fosse l'accudire il proprio giardino o le bestie da
pascolo. Tornata la tranquillità per quel rasserenante alibi, si
stese sul divano, pensò alle mutande del nipote, alla sagoma del
pene un poco eretto del giovane e si masturbò avidamente
raggiungendo presto l'orgasmo. Si spaventò del suo stesso gesto, ma
non si interrogò, non inquisì la propria azione, non si fece
domande sui propri desideri. Le manifestazioni più audaci e talvolta
grottesche dei propri appetiti sessuali, non incontrano ostacolo
morale, pudore nè pentimento, se vengono vissuti nella loro
naturalezza, conformandoli alla loro occasione più consona, senza
interrogarsi su di essi. La domanda che potrebbe affliggere una mente
educata agli assiomi circostanziali è se può essere consono il
fatto di provare attrazione per un consanguineo e per di più molto
più giovane, ma la questione che ora affligge il mio essere
narratore esterno, non disturbò invece la mia protagonista, non a
tal punto almeno da indispettirla con lucide e fuorvianti
elucubrazioni filosofiche sull'essere, tali da annichilirne quindi
l'istinto. Quando il ragazzo tornò alla fine di quella giornata,
stanco e sopraffatto dallo scoraggiamento di vedersi negare la
speranza di un lavoro, lei lo guardò negli occhi, come nulla fosse
successo, lo ristorò con un buon pasto e un buon vino, guardò la
televisione di fianco a lui, gli augurò la buona notte. Gli disse di
non preoccuparsi, che la sua pensione sarebbe bastata anche per due e
che si sarebbe presa cura di lui. Alla quarta notte, gli chiese di
dormire con lei nel letto matrimoniale, nel posto lasciato
incustodito dal defunto marito. Lo convinse con argomentazioni
fantastiche, dicendo che si sentiva sola, che aveva paura dei suoi
stessi incubi. Non dovette affaticarsi tanto per trovare delle
giustificazioni alla sua richiesta poichè il ragazzo, preso come da
una sorta di servilismo, dettato dallo scrupolo conseguente al senso
di colpevolezza nato dal farsi mantenere senza portare denaro in
casa, era sempre pronto ad accettare qualsiasi condizione di
sopravvivenza, alternativamente alla quale, temeva di trovarsi nel
mezzo di una strada. Quella notte lei dormì abbracciata al nipote.
Lui rimase steso senza muoversi, rivolto con lo sguardo verso il
lampadario della camera, come per paura di svegliare la zia,
muovendola da quella posizione così curiosa. Riflettè sulla sua
condizione. Non si chiese il perchè delle eccessive attenzioni della
donna nei suoi riguardi. Pensò che era la sorella della propria
madre e questo la faceva sentire più vicina. Argomentò nel silenzio
dei propri dubbi notturni, che avrebbe dovuto accettare qualsiasi
stravaganza della anziana parente. Quando la gamba di questa strisciò
forse accidentalmente sul pene del ragazzo coperto solo da una
sottile mutanda, visto il caldo primaverile di quella notte, lui ebbe
un'erezione. Un poco si vergognò del fatto. Si convinse poi che la
donna stesse solo dormendo e che non se ne sarebbe accorta. Non se ne
preoccupò quindi più di tanto e quando la lieve eccitazione si
calmò, si addormentò anch'egli tra le braccia della donna. I giorni
successivi notò che gli sguardi della zia erano sempre più
incisivi, come a voler scrutare ogni pensiero, le domande sempre più
frequenti. Una mattina lasciò pure la porta del bagno distrattamente
socchiusa, pensando che fosse uscita e si masturbò di fronte allo
specchio. Vide ad un tratto nel riflesso di questo, un occhio che lo
guardava dalla fessura lasciata aperta. Nel momento si arrestò
subito e si sentì rapito da una sorta di panico. Poi però quando
raggiunse la donna in cucina mentre preparava il pranzo, per
verificarne lo stato d'animo, la vide sorridente e si rassicurò.
Percepiva qualcosa come di eccessivamente femminile nella zia, di
quella femminilità che è tipica ancora delle età sessualmente
floride e che coincide con l'impudicizia. Per una strana causa si
sentiva sempre più intimamente legato a lei e si convinse che il
senso di vergogna e pudore avrebbe solo cementato un inutile muro tra
i due. Lei lo guardava spesso. Anche lui la guardava in quella sua
vestaglia mattutina a fiori come la carta da parati e profumata di
gelsomino. In fondo anch'egli si trovava in una forzata condizione di
astinenza tra quelle montagne pudiche e desolate che ombreggiavano
castità sui boschi selvaggi e sulle casupole diradate, lontano
dall'umana perdizione, portatrice unicamente di peccato ed effimere
delizie. Alla sua giovane età, aveva bisogno di contatti perpetui
con l'altro sesso. La zia si preoccupò invece di limitare al massimo
le sue uscite e frequentazioni con le giovani del villaggio, a tal
punto da uscire al posto suo per fare la spesa o per recarsi a
comprare le medicine. Sembrava che tentasse di allontanarlo anche
dal contatto con le proprie figlie, le quali telefonavano spesso per
avere notizie della madre. Una sera lei preparò una cena perfetta in
ogni dettaglio. Comprò del pesce, che non era facile trovare in
paese. Lui capì che era andata sino in città per trovarlo,
percorrendo svariate miglia. Lo inondò pure con dell'ottimo
champagne. La cosa più curiosa non era tanto la selezione delle pur
ricercate pietanze, ma la eccessiva accuratezza estetica con cui
scelse le tovaglie, le posate, i candelabri, l'abbinamento dei colori
per trattarsi di una cena da sola o con il proprio nipote. Capì che
aveva acquistato anche le posate per quell'occasione o che le aveva
ritirate fuori dall'epoca in cui civettava ancora col marito. Tutto
odorava di malizia ed erotismo, più che di innocente devozione
all'estetismo o senso artistico della superflua minuzia e del
dettaglio non proprio culinario. E quel suo profumo sempre addosso, lo valutò come eccessivo per giustificare una mera vanità o ricerca del piacersi o
per una futile sorta di formale educazione nei confronti di un ospite
ed eppure per giustificare una semplice paura di trovarsi a disagio
al cospetto di un giudizio esterno. Poi lei sfiorò col piede la sua
gamba senza chiedergli scusa per il gesto ... e lui capì. O meglio
si lasciò andare anch'egli, infiammato dallo champagne e dalla castità
forzata. Scaraventarono le posate per terra, sventolando la tovaglia
come fosse il fazzoletto di fronte al toro inferocito nella corrida e
l'impeto reciproco gettò la legge dell'insania su di loro. Lui la
penetrò svariate volte sul tavolo con estrema veemenza, facendole
sbattere la testa contro lo sportello del frigorifero. Lei non sentì
dolore ma solo piacere che si liberava dopo anni di frustrazione. Lui
sfogò sul corpo consanguineo della zia, la sua ira giovanile avida
di piacere e di esperienza. Poi si ricomposero. I loro sguardi non si
incrociarono quella sera, come per una sorta di vergogna. Dormirono
ancora insieme quella notte. Il giorno dopo fecero finta di nulla,
non si interrogarono sull'accaduto ma lo assimilarono saggiamente
come fisiologico alla forzata convivenza. Non si domandarono alcunchè
nelle segrete stanze della propria intimità. I giorni passarono
felici. Una settimana dopo riebbero un altro rapporto sessuale.
Questa volta in camera, sul letto matrimoniale. Fu tutto più
tradizionale e conforme rispetto alla veemenza e alla stravaganza
della prima volta. Non si chiesero perchè ciò avvenisse ancora. Lui
smise di cercare lavoro ma lei non di osservarlo e desiderarlo. Un
giorno Jacques incontrò le proprie cugine in occasione di una loro
visita e riconobbe nel loro sguardo, quello della loro madre. Erano
le uniche giovani ragazze, poco più che coetanee, che gli capitò di
vedere dal giorno del suo arrivo. Chiese cortesemente di potersi
dissociare un attimo dall'aperitivo. Andò in bagno e si masturbò.
Le cugine non immaginarono neanche quello che stava facendo. Non
vedevano molto di buon occhio quella convivenza forzata; temevano che
il ragazzo si sarebbe approfittato della eccessiva cortesia della
madre. Loro non sapevano cosa stava accadendo in quella casa.
L'incesto è un tabù e come tale non può essere capito nè
tantomeno condiviso o anche solo rispettato fino a quando non ci si
rivede protagonisti della sua pratica, ma questo vale per ogni
peccato umano. Le fecero notare l'eccessiva durata del tempo
trascorso dal momento dell'arrivo del ragazzo senza ancora aver
trovato un'occupazione, ma lei le zittì alzando la voce, le accusò
di egoismo, le mandò via di casa in malo modo. Col passare del tempo
il rapporto tra i due conviventi divenne sempre più solido e anche
il ragazzo si legò indissolubilmente alla zia. Faticava sempre più
a immaginare una vita senza l'apporto umano della donna e la mancanza
di esperienze amorose pregresse, data anche dalla giovane età, lo
sollevava dal fardello di un confronto. Non sapeva neanche come
sarebbe stato un rapporto con una propria coetanea e con l'avanzare
di quel segreto e inaspettato rapporto, se ne preoccupò sempre meno.
Quella eccentricità profumata di bizzarria, era diventata la sua
normalità e non si chiese perchè il destino gli avesse riservato un
decorso così innaturale degli eventi. Quando i suoi dubbi lo
tormentavano, riconsegnava il pensiero all'alternativa e, preso da un
rinnovato spavento, si riaccasciava nel sicuro rifugio dell'incesto.
Un giorno lei scoprì di essere malata e lui le stette vicino,
cominciò a fare la spesa per lei e si preoccupò di andare a
prendere le medicine in paese ogni mattina. Consultava spesso il
medico, preparava la cena, puliva le stanze a fronte della crescente
impotenza degenerativa della zia. Non ebbero più rapporti ma lui
stava spesso di fianco al letto, tenendole la mano. La baciava sulla
guancia, sussurrandole parole dolci e di speranza. La rasserenava. La malattia di
Brigitte ebbe un decorso molto lungo e graduale, permettendole di
vivere ancora a lungo ma un'esistenza imprigionata nel letto e nel
corso della quale Jacques divenne adulto e maggiormente
responsabile. Un giorno poi, inevitabile, la donna spirò nel letto
su cui si era consumato, ed era cresciuto, come fosse un mostro, il
loro reciproco peccato. Il dolore per l'accaduto ebbe un impatto
immane sul ragazzo ma non c'era troppo tempo per restare a disperarsi
improduttivamente. Dovette presto preparare il funerale con le
cugine, che incontrò nuovamente solo dopo quel giorno in cui furono
cacciate dalla madre. Lui si rassegnò al fatto che ora avrebbe
dovuto andarsene da quella casa in cui custodiva il suo segreto, in
cui la sua giovinezza era tramutata in età adulta, nutrendosi di
un'esperienza macchiata di perversione, nelle redini di un amore
illecito, consumato nelle segrete stanze di una dimora che avrebbe
abbandonato, con le sue facezie non dette. Fu inaspettatamente
chiamato dal notaio quando stava ancora preparando le valigie, per
andarsene senza sapere dove. Quando entrò nello studio del
funzionario, incontrò le cugine, irritate e sospettose per la sua
presenza. L'incaricato lesse un testamento scritto dalla defunta
donna e della cui esistenza, le figlie vennero a conoscenza solo in
quel momento. Il volere scritto della madre aveva lasciato l'eredità
della casa tra le montagne e di tutti i risparmi di una vita,
unicamente al nipote. Le donne sfogarono la loro rabbia contro il
beneficiario, annunciarono causa, lo maledirono e se la presero anche
col funzionario. Jacques uscì dallo studio tra le urla isteriche
delle donne con un sorriso beffardo e tornò nella piccola casa che,
tra le omertose montagne, celava il suo segreto. Visse felice tra le
sue mura. Coltivò l'orto di fronte alla terrazza con costanza e
dedizione, diede da mangiare premurosamente alle bestie, commerciò i
prodotti del suo giardino nel mercato settimanale del paese. A chi
gli parlava nostalgicamente della defunta o a chi piagnucolava per la sua scomparsa in sua
presenza, lui lo liquidava con una pacca sulla spalla, asserendo che
la morte è inevitabile ma è la vita a essere inaspettata e talvolta
imprevedibile.
Emmanuel
Gravier Menchetti.
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