Caro
Alberto, ho chiesto di farti recapitare a mano questa lettera,
pretendendo di tenerti all'oscuro dell'indirizzo ma soprattutto del
tipo di posto in cui ora mi trovo e da cui ti sto scrivendo, perchè
altrimenti potresti già capire tutto o non darmi credito su ciò che
sto per comunicarti. Ti anticipo che non mi trovo in casa, no ... non
mi trovo nella mia casa divenuta così vuota, dove i miei passi per
le scale e persino gli incubi e i pensieri sembrano echeggiare tra le
sue mura distanti. Tu sai cosa è capitato nell'ultimo anno della mia
triste e ormai solitaria esistenza. Nell'arco di questo infimo lasso
di tempo dalla morte di mia madre per cancro, episodio che, già di
per sè, modificò drasticamente la mia vita, ti ricordo che morì
anche mio fratello solo quattro mesi dopo in un incidente stradale e
dopo otto mesi pure mio padre e nello stesso scellerato e malaugurato
modo. Ricorderai certamente che ti parlai già in occasione
dell'incidente di mio fratello, di una maledizione che incombeva,
spietata, sulla mia famiglia; so che ricordi i miei timori, la mia
paura che sarei stato io il prossimo della lista a morire, magari
della stessa morte violenta. Dicevi che ero divenuto ossessivo e
ipocondriaco ma poi, in seguito alla morte anche di mio padre, ti
chiudesti nel silenzio dell'imbarazzo, forse perchè anche tu
cominciasti, nelle segrete stanze del tuo pensiero non meno perverso
del mio, a convincerti che avevo ragione. Si ... lo so cosa stai
pensando, che ora sono l'unico erede e dovrei scrollarmi di dosso
certe folli superstizioni e godermi il sudore dell'impero finanziario
di mio padre anzichè farmi prendere da ossessioni e paranoie. Non ci
riesco. Sento sempre rumori in questa casa come di passi felpati o di
oggetti che si muovono, li sento di notte quando il mio sonno è
interrotto da quel sottile strato ancor quasi onirico di comprensione
che è la veglia perpetua di chi soffre di incubi continui. Li sento
mentre suono il pianoforte solo in camera, nelle pause tra un accordo
e l'altro. Li odo mentre creo le mie sculture mostruose di esseri
improbabili forse sognati o solo temuti e mentre dipingo oscuri
abissi marini dimenticati dal tempo e dalla conoscenza umana, nei
visionari frangenti in cui il mio pennello danza ammiccando con i
colori bluastri sulla tela, deridendomi del mio terrore. Loro, i
rumori, sono sempre con me, sono ormai gli unici compagni a non
lasciarmi mai solo. Colgo anche l'occasione per ringraziarti di
esserti offerto di aiutarmi economicamente e nelle faccende di casa,
conoscendo quanto sono maldestro anche solo nel cuocermi un uovo, ma
sai, mio padre aveva lasciato un bel gruzzoletto di sessantamila euro
nel mio conto poco prima di morire; lo aveva fatto perchè, come sai,
la sua azienda era fallita e le banche gli stavano col fiato sul
collo, annaspando come iene su tutto ciò che fosse intestato a lui,
manco fosse una carogna da spolpare ed è con quei soldi che, oltre a
pagare il suo funerale, pago una donna ucraina per tutte le faccende
domestiche, una simpatica ragazza che già conosce bene la casa, dato
che fu assunta subito dopo la morte terribile di mia madre. Non sa
nulla dei rumori perchè quando c'è lei quelle maledette presenze se
ne vanno, tanto perseguitano solo me. Ho anche tentato di parlarle
di quello che succede in questa casa quando non c'è, ma lei mi
deride con quella sua risatina ingenua con cui sembra voler risolvere
e spazzare via tutto così come rimuove la polvere dagli scaffali,
con quella sua squallida quotidianità, con quella lucida routine
priva di fantasia, tipica delle lavandaie e di tutti i lavori manuali
svolti per necessità economiche che disconoscono il fascino delle
cose misteriose e macabre di chi, come me, ha invece avuto il tempo e
la facoltà di concepire. La percezione dell'immane impatto delle
umani tragedie, del naturale ma scellerato decorso del destino non è
cosa che possa essere contemplata nelle piccole menti addomesticate
dalla necessità di sopravvivenza. Il reale dolore è destinato solo
ai nobili, ma anche ai piccoli borghesi come me, purchè l'agiatezza
economica ci sollevi da problemi di infima sopravvivenza per
lasciarci il tempo da dedicare alla letteratura, alla riflessione,
alla lettura filosofica delle cose e degli eventi. Il lutto e per di
più intriso di sventurato malocchio, ha colpito, come sai, la mia
famiglia e sai anche che vorrei andarmene da questo paese, vendere
quella casa maledetta e fuggire via, lasciandomi alle spalle quei
rumori di passi che ticchettano nel mio cervello, torturandone il
sonno e i ricordi di cui è pregno ogni angolo di questo ormai vuoto
edificio, ma non posso andarmene, non più e per un motivo che
scoprirai se avrai la pazienza di arrivare alla fine di questa
lettera. Le case parlano, racchiudono lo spirito di chi ci ha vissuto
e questo spirito ancora ci vive dentro, specie quando le persone sono
perite di morte violenta. Se avessi potuto vendere la casa e
andarmene per sempre, un nuovo inquilino forse avrebbe potuto viverci
allegramente, trapiantandovi una nuova famiglia, libera dalla
maledizione che invece è gravata sulla mia. Avrebbe potuto viverci
senza neanche accorgersi del suono di quei passi o dello spostamento
degli oggetti, magari perchè distratto dal rumore stesso di un
nucleo di più persone, mentre io, solo, nel mio silenzio, devo
subire consapevolmente il macabro incanto di queste presenze, che
chiamano solo me al loro cospetto, che amano farsi corteggiare solo
dalla mia attenzione eccitata. Perchè allora non vendo tutto e me ne
vado via?.... perchè non fuggo in Thailandia o in Brasile o in Nepal
o in qualsiasi altra meta esotica dove potrei comprare più case e
vivere di rendita, utilizzandone una per abitarci e le altre per
affittarle?! .... che mente umile che sei, credi
che non ci abbia già pensato?
... non posso, è quello che sto tentando di dirti. No... so cosa
stai pensando, che ti dico questo perchè mi sono convinto che tanto
la maledizione mi seguirebbe ovunque. Certo, mi sta seguendo in
qualsiasi dimensione spazio temporale ma questa mia convinzione pare
che sia la causa stessa per cui ora mi trovo qui. Non sai dove mi
trovo? .... mi trovo in un ospedale
psichiatrico
dove dovrò finire i miei giorni perchè lo psichiatra che mi sta
seguendo e il giudice che qui mi ha mandato, sono assolutamente
convinti che sia stato io a
uccidere mio fratello e poi mio padre. Ti
chiederai come sia possibile dato che sono morti in un incidente
stradale. Beh.. dall'autopsia risulta che entrambe avessero ingerito
un veleno che, nel giro di pochi minuti, porterebbe ad uno stato
catalettico e che io avrei fatto bere ad entrambe sciogliendolo nel
loro fatale bicchiere d'acqua, poco prima che uscissero di casa per
guidare l'auto, in modo da far sembrare
che
la morte incombesse per un incidente stradale mentre in realtà le
loro auto si schiantarono con già un cadavere al volante! Le
autopsie furono predisposte in quanto non era chiaro perchè in
entrambe i casi non risultassero segni di frenata sull'asfalto e poi
notarono tracce di questo veleno già nel sangue di mio fratello;
all'epoca ebbero già dei sospetti su di me poi quando trovarono le
stesse tracce sul corpo di mio padre non ebbero più dubbi. E la
storia della maledizione? Ho provato a spiegarlo ma non mi credono, o
meglio, non è che non credono alle mie parole, ma non si fidano
della sanità della mia mente ed è il motivo per cui ora mi trovo
rinchiuso qua dentro. Se ti faccio leggere il rapporto che lo
psichiatra ha consegnato al giudice ti verrà da ridere sulle mie
sventure. Te lo avevo detto che la maledizione mi sta perseguitando.
Lo psichiatra sostiene che io soffra di una doppia personalità, una
fredda e lucida ed è quella che ha architettato i due omicidi
travestiti da finti incidenti per ottenere l'eredità, e l'altra,
forse quella che ti sta scrivendo ora, assolutamente ignara della sua
stessa esistenza e, allo stesso tempo, vittima della mia altra metà
assassina e convinta che il macabro susseguirsi degli eventi sia da
addebitarsi, appunto, alla maledizione di cui ti ho sempre parlato,
come se questa mia parte ingenua non si ricordasse di quello che io
stesso ho fatto, come se tra le mie due metà ci fosse un confine
netto di memoria in cui i pensieri non si miscelano, non conoscono osmosi, rimanendo invece
distinti come l'acqua a contatto con una macchia d'olio. E' tutto
così assurdo. Non so neppure se mi permetteranno di recapitarti
questa missiva. La maledizione, come vedi, ha colpito anche me, non
lo ha fatto con la morte atroce dei miei consanguinei ma con il
metodo più sottile e pungente della tortura psicologica,
dell'infamia, dell'accusa, relegandomi a questo ospedale di matti,
rinchiudendomi in questa strana prigione in cui l'intelligenza viene
chiamata follia e la verità delirio ed in cui temo che rimarrò
rinchiuso per il resto dei miei tristi e solitari giorni.
Emmanuel Gravier Menchetti.
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